Figura chiave della committenza medicea tra fine Sei e primo Settecento, l’architetto e scultore Giovanni Battista Foggini fu attivo anche in Piazza dei Cavalieri, dove collaborò alla serie di busti in marmo con ritratti granducali per la facciata del Palazzo della Carovana e all’arredo (effimero e permanente) della chiesa di Santo Stefano.
Nacque a Firenze nell’aprile del 1652. La famiglia, accortasi subito delle sue capacità (un «genio non ordinario a queste bell’arti»), lo mandò all’età di dieci anni a studiare presso alcuni maestri pittori, tra cui Vincenzo Dandini, ma sarà lo zio Jacopo Maria Foggini che, dedito a sua volta alle arti statuarie, lo segnerà maggiormente, facendogli «modellare e far figure in legno a suo piacimento». Già intorno al 1665 il giovane sarebbe stato in grado di realizzare un bassorilievo in legno con la Decollazione di san Giovanni Battista e alcune medaglie (opere non pervenuteci), che gli permisero, grazie alla mediazione del matematico Vincenzo Viviani, di ottenere il favore dal granduca Ferdinando II e, con questo, un sostentamento mensile di quattro scudi.
Una volta nella cerchia degli artisti di corte, Foggini «si messe con tale sforzo allo studio che in pochi mesi diede fuori – con diversi disegni e modelli di terra – alcune teste e bassorilievi di marmo». Morto Ferdinando II e salito al potere il figlio Cosimo III, nel 1673 l’artista venne mandato a Roma a studiare presso la neonata Accademia medicea, accolta in Palazzo Madama e patrocinata dal nuovo granduca per formare giovani fiorentini e contribuire così al rinnovo delle arti toscane. Lì lo scultore poté apprendere da Ciro Ferri (in pittura e disegno) e Ercole Ferrata (in scultura), il cui studio – ricco di calchi e modelli, anche del bolognese Alessandro Algardi, di cui il nostro non fu allievo ma che guardò sempre con interesse – rimase per lui un costante punto di riferimento nell’arco di tutta la sua attività. Nella città pontificia il giovane predilesse lo studio delle opere di Raffaello, Pietro da Cortona e soprattutto Michelangelo, nonché dell’Antico, di cui «copiò in terra quasi ogni statua e disegnò ogn’altr’opera che a lui si fosse presentata». Dopo tre anni, il granduca richiamò Foggini a Firenze, dove egli non solo si dedicò alla ritrattistica in marmo, ma soprattutto accettò un’importante commissione della famiglia Corsini per la loro cappella in Santa Maria del Carmine, dedicata a sant’Andrea Corsini: tre pale marmoree in altorilievo, alla cui realizzazione l’artista dedicherà complessivamente più di un ventennio, raffigurando l’Apoteosi del santo (1677-1678); la Battaglia di Anghiari (1684-89) e l’Apparizione della Madonna al santo durante la messa (1694-1701). Nell’arco di questi lavori Foggini vide confermata la fiducia del granduca che nel 1687 gli assegnò la casa e l’atelier in Borgo Pinti, dove già avevano lavorato Giambologna e Pietro Tacca, e nel 1694 lo nominò primo architetto di corte.
Mentre la commissione Corsini era all’inizio, prese avvio anche un altro fondamentale cantiere a cui l’artista per più decenni avrebbe dedicato le proprie attenzioni: quello dell’altare maggiore in Santo Stefano. Risale infatti al 1682 la richiesta all’artista di un enorme modello in legno, raffigurante il San Stefano tra la Religione e la Fede e tuttora conservato in un ambiente secondario dell’edificio sacro, destinato ad ornare (all’interno di una struttura effimera ideata da Pier Francesco Silvani) il presbiterio della chiesa in occasione della traslazione delle reliquie stefaniane, organizzata con grande sontuosità per Pisa da Cosimo III il 25 aprile 1683. Per la stessa occasione l’artista realizzò anche un’altra scultura, oggi perduta: un bassorilievo, forse di cartapesta, certamente dorato, con l’immagine di santo Stefano in atto benedicente, di dimensioni assai consistenti, di forma tonda e destinato ad ornare la sommità della facciata dell’edificio sacro, come suggeriscono alcuni disegni dell’epoca. Di quest’opera dopo la cerimonia si sono perse le tracce, mentre il gruppo ligneo rimase sull’altare per una ventina d’anni, ovvero fino a quando lo stesso Cosimo III non commissionò finalmente a Foggini al suo posto il gruppo in marmo definitivo, sollecitato ormai dall’ottenimento anche di una seconda reliquia, la cattedra di santo Stefano, e terminato entro il 1709.
Nel frattempo, si erano già intensificati i rapporti dell’artista tanto con Pisa (dove per la Cattedrale completerà entro il 1690 un altare per il deposito delle reliquie di san Ranieri), quanto più specificatamente con Piazza dei Cavalieri. Entro il 1681 aveva già consegnato il primo dei due busti che avrebbe eseguito per la facciata della Carovana, quello di Ferdinando II. Poco più tardi furono due interventi strutturali in Santo Stefano a occupare Foggini, che subentrò a Silvani (morto nel 1685) per completarne il progetto, voluto dal granduca, di aggiungere due corpi laterali alla chiesa: strutture di fatto, ridimensionata la proposta iniziale, non concepite per essere delle navate, ma per servire, prive di illuminazione, come semplici spogliatori e magazzini per l’Ordine stefaniano. I lavori poterono considerarsi conclusi nel 1691, con l’apertura di quattro ampi portali timpanati di collegamento tra il corpo principale dell’edificio e le due nuove ali. Qualche anno più tardi, nel 1693, sarebbe stato il campanile di Santo Stefano a richiedere le attenzioni di Foggini, non solo per la sostituzione di alcuni elementi decorativi, ma anche per un consolidamento statico.
Apprezzato dai Medici anche per la capacità di gestire un ampio entourage di artisti specializzati nella lavorazione di tecniche e materiali diversi e per le due doti di fecondo disegnatore, fece appena in tempo a consegnare il suo secondo busto, con l’effigie di Cosimo III, per la Carovana prima morire nell’aprile del 1625. Venne sepolto nella chiesa di Santa Maria del Carmine, per la quale aveva a lungo lavorato.
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