Interno

S. Stefano – interno – testata – Freccioni SNS – DJI_0518

Interno

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Foto di Giandonato Tartarelli, Scuola Normale Superiore. Su gentile concessione del Demanio dello Stato
S. Stefano – interno – immagine 1 – Tartarelli SNS – DSC_7210 copia
Interno dell'edificio. Pisa, Santo Stefano dei Cavalieri

La chiesa di Santo Stefano dei Cavalieri presenta una navata unica affiancata da due ali, a cui si accede dall’invaso centrale tramite quattro aperture timpanate, due per lato.

L’area presbiteriale, a terminazione retta, ospita l’altare maggiore dominato dalla figura di Santo Stefano in gloria sopra la cattedra bronzea, che reca sul fronte un rilievo raffigurante la decollazione del santo; più in basso sono due figure maschili, recanti l’una uno stendardo e l’altra la spada e lo scudo, identificate dalla critica con l’allegoria della Vittoria e quella dell’Ordine, assise su un sarcofago di diaspro. Sul fronte dell’altare è il motto «NOMINI MEO ADSCRIBATVR VICTORIA». L’opera fu realizzata da Giovanni Battista Foggini e aiuti tra il 1702 e il 1709, al termine di una lunga e complicata storia progettuale.

Le pareti laterali sono suddivise orizzontalmente da una cornice marcapiano, sopra la quale si ergono cinque finestre per lato. La quadratura e i timpani delle finestre, alternativamente curvi o retti, sono in pietra grigia della Golfolina, come volle Giorgio Vasari, un colore ripreso nel 1867-1868 per accordarvi le incorniciature delle aperture verso le ali.

Gli originali progetti vasariani sono stati stravolti dalle modifiche intercorse tra Sei e Ottocento, nell’ordine: la costruzione del soffitto a cassettoni al posto delle capriate vasariane (1603-1604) attribuito al progetto di Alessandro Pieroni; la costruzione delle ali laterali con funzione di magazzini e spogliatoi da parte di Pier Francesco Silvani e Foggini (1685); l’erezione del sontuoso altare maggiore sempre di Foggini (1702-1709); la sostituzione degli altari laterali in legno con quelli in marmo a opera di Giovanni Lazzarini (1820) – altari che furono successivamente spostati da Gaetano Niccoli nelle ali (1867-1868). Risalgono invece all’arredo originario le due acquasantiere nei pressi della controfacciata, realizzate su disegno di Vasari da Giovanni Fancelli detto Nanni di Stocco tra il 1566 e il 1568. L’architetto progettò anche i poggioli che oggi si trovano sotto gli organi posti ai lati dell’altare maggiore; i due strumenti sono stati eseguiti rispettivamente da Azzolino della Ciaia nel 1734 (a sinistra) e da Onofrio Zefferini nel 1569 (a destra). Il secondo organo è dotato di un elaborato ornamento ligneo eseguito da Nigi della Neghitosa sempre su progetto di Vasari. Questi elementi decorativi sono solo una lontana eco dell’originario arredo pensato dall’architetto che, in qualità di designer, si occupò della progettazione della chiesa sino ai minimi dettagli, molti dei quali oggi perduti, ma noti attraverso i disegni dell’artista.

Vasari previde per la chiesa due grandi pale da collocare su altari lignei laterali, una raffigurante il Martirio di santo Stefano, che eseguì personalmente tra il 1569 e il 1571 – oggi esposta a sinistra dell’altare maggiore a seguito del restauro del 2012 –, e l’altra rappresentante la Natività, dipinta da Agnolo Bronzino nel 1564-1565, collocata in un altare marmoreo dell’ala sinistra.

Nella chiesa sono raccolte le bandiere predate dai Cavalieri alla flotta turca, affisse alle pareti o in apposite vetrine al centro della navata. Si tratta di un nucleo eterogeneo per materiale, forma e decorazione; tra di esse spiccano le cosiddette ‘fiamme da combattimento’ dalla caratteristica foggia triangolare. Fanno loro compagnia diversi frammenti lignei che decoravano una galea da parata tardobarocca appartenuta all’ordine, con figure incatenate di prigionieri, sia uomini che donne, aquile e trofei in alto rilievo e a tutto tondo: manufatti della fine del XVII-inizi del XVIII, riferiti agli intagliatori pisani Santi Santucci e Andrea Mattei. Si tratta di immagini contraddistinte da un linguaggio rappresentativo violento e discriminatorio, che rispecchia le ambizioni egemoniche della dinastia medicea.

Sulle pareti è esposto anche il ciclo di tele monocrome con le storie di Santo Stefano eseguite nel 1588 per l’entrata di Ferdinando I de’ Medici a Pisa: una cerimonia organizzata dal poliedrico artista Ridolfo Sirigatti. La collocazione delle tele non segue l’ordine degli eventi: al di sopra della porta di ingresso è affissa quella raffigurante Papa Stefano viene seppellito insieme al trono papale nelle catacombe di Callisto di Alessandro dell’Impruneta; sulla parete destra, procedendo verso il presbiterio, sono Papa Stefano distribuisce la comunione ai cristiani nelle catacombe di Lucina di Giovanni Stradano e Papa Stefano dona la vista a Lucilla nelle catacombe di Nepoziano di Giovanni di Raffaello del Pallaio. Sulla parete sinistra, procedendo a ritroso Papa Stefano viene assalito e decapitato dai soldati imperiali mentre sta celebrando messa nelle catacombe di Lucina di Giovanni Balducci e Papa Stefano arrestato dai soldati imperiali scatena un terremoto che fa cadere a pezzi un tempio di Marte di Alessandro Fei.

Il pregiato soffitto, attribuito al progetto di Pieroni e realizzato da Filippo Paladini (1603-1604), racchiude sei tavole relative alla storia dell’ordine eseguite tra il 1604 e il 1613. A partire dalla zona del presbiterio sono raffigurati: L’investitura di Cosimo I a gran maestro dell’ordine di Ludovico Cardi detto il Cigoli; Il ritorno della flotta dalla battaglia di Lepanto di Jacopo Ligozzi; L’imbarco di Maria de’ Medici di Cristofano Allori; La vittoria nell’arcipelago greco di Jacopo Chimenti; L’espugnazione della città di Prévesa di Ligozzi; e L’espugnazione di Bona di Chimenti. Il soffitto inoltre è costellato dagli emblemi dei granduchi: la barca con l’albero corredata dal motto «FESTINA LENTE» in riferimento alla saviezza e alla prudenza di Cosimo I; la barca con la croce di Santo Stefano e il motto «IN HOC SIGNO VINCES» desunto dal sogno di Costantino; gli emblemi di Francesco I ossia la donnola con la foglia di ruta («AMAT VICTORIA CURAM») in rifermento alla prudenza del granduca, il tasso irto di spine («LAEDENTEM LAEDO») per la severità del suo castigo; infine l’emblema di Ferdinando I, l’ape protetta dallo sciame («MAJESTATE TANTUM»).

Negli anni la chiesa conventuale ha raccolto alcuni manufatti provenienti da altri edifici dell’ordine, come la tela con La Sacra famiglia con santo Stefano eseguita nel 1593 da Aurelio Lomi per la sala del Consiglio dei Cavalieri (allora presumibilmente in Carovana); invece il pulpito in marmi policromi di Chiarissimo Fancelli (1627) è stato trasferito dal Duomo alla chiesa nel 1929. Tra le oreficerie inviate dalla corte medicea (1596) si segnala il busto reliquiario di San Lussorio o San Rossore di Donatello, oggi esposto al Museo Nazionale di San Matteo e sostituito in chiesa da una copia. In un ambiente a destra del presbiterio è invece conservato il modello in gesso e legno con Santo Stefano tra la Religione e la Fede eseguito da Foggini su progetto di Silvani per ornare l’altare maggiore durante la cerimonia di traslazione delle reliquie del santo nel 1683.

A seguito delle modifiche ottocentesche si segnala l’erezione della cappella del Santissimo Sacramento nell’ala settentrionale, a opera di Florido Galli, nel 1836-1837.

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S. Stefano – interno – immagine corredo 3 – Tartarelli SNS – 462-
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