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La Piazza e il Mondo: voci internazionali dal Medioevo a oggi

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1387/1400

Geoffrey Chaucer

Del conte Ugolino di Pisa il dolore
Non potrebbe forse lingua, per pietà, raccontare.
Ma fuori Pisa c’è una torre
In cui lui fu imprigionato
E con lui i suoi tre bambini,
di cui il più grande non aveva cinque anni.
Ahimè, Fortuna, è stata grande crudeltà
Chiudere in tale gabbia simili uccelli!

Off the Erl Hugelyn of Pyze the langour
Ther may no tonge telle for pitee.
But litel out of Pize stant a tour,
In whiche tour in prisoun put was he,
And with hym been his litel children thre,
The eldeste scarsly fyf yeer was of age.
Allas, Fortune, it was greet crueltee
Swiche briddes for to putte in swiche a cage!

Monk’s Tale (ante 1400)

Geoffrey Chaucer (Londra? 1342/3-Londra 1400) è unanimemente considerato uno dei padri della letteratura di lingua inglese. È autore di testi fondamentali come The House of Fame (1380 ca.), Troilus and Criseude (composto negli anni ottanta del Trecento) e i più noti Canterbury Tales, opera matura (1387-1400), giuntaci incompleta. Molti aspetti della vita di Chaucer sono ignoti e diverse informazioni che riguardano la sua biografia del tutto congetturali. Incertezza sussiste sull’etimologia del nome, che deriverebbe per alcuni da chaussiere (scarpaio), per altri da chaucier (fabbricante di calzoni).

Nebulosa anche la ricostruzione dei suoi itinerari sul Continente. Se alcuni studiosi fanno risalire al 1368 un suo primo soggiorno in Italia (ricostruito per via puramente induttiva) per assistere al matrimonio del duca di Clarence con la figlia del duca di Milano, per altri è da spostarsi tra il dicembre 1372 e il maggio 1373, quando Chaucer, investito di importanti incarichi diplomatici, fece visita in veste ufficiale a Genova e a Firenze. Un secondo viaggio è datato tra il maggio e il settembre del 1378, quando lo scrittore è a Milano per esortare Bernabò Visconti e Giovanni Acuto a sostenere la guerra degli inglesi contro la Francia.

Tuttavia, come suggerisce David Wallace, l’influenza che la cultura e la letteratura italiana ebbero sulla sua parabola artistica precede la conoscenza diretta della Penisola tanto che «Chaucer may have heard something about Dante from those many Italian merchants who passed through London, or even from the French lyricists he had imitated and admired since his youth» (lo scrittore potrebbe aver sentito qualcosa su Dante dai molti mercanti italiani che passavano per Londra, oppure attraverso i lirici francesi che aveva imitato e ammirato sin dalla sua giovinezza). Si tratta di un’influenza, quella italiana, che muove anzitutto da ragioni di lingua e di stile. Ma vi erano anche ragioni formali più ampie, come ad esempio le scelte che ricadevano su precise soluzioni narrative: è nota la dipendenza della House of Fame dalla Commedia, come pure i Canterbury Tales dal Decameron. Ed è proprio in questi ultimi e precisamente nel Monk’s Tale [Racconto del monaco] che Chaucer inserisce la nota ricapitolazione delle vicende di Ugolino della Gherardesca iuxta Dante. In questa ampia descrizione lo scrittore inglese acclude un dettaglio assente nel XXXIII canto dell’Inferno, collocando la Torre della Fame nel contado pisano, e non, come sarebbe corretto, nel cuore della città, nella moderna Piazza dei Cavalieri.

Allo stato attuale della ricerca è impossibile affermare con sicurezza la presenza di Chaucer a Pisa nel 1373, sebbene sia possibile ipotizzare un suo transito per la città diretto verso Firenze. Le informazioni sulla topografia cittadina potrebbero essere dunque o frutto di fantasia, o di una testimonianza diretta, o ancora ricavate da fonti secondarie (scritte e orali). Per quanto riguarda la prima ipotesi, collocare un episodio tragico e cruento in un luogo isolato ha il potere di accrescerne il carico di inquietudine. Mario Curreli sostiene invece che Chaucer avrebbe scambiato la Torre di Ugolino con la Torre Guelfa della Cittadella, entrando in città dal Porto Pisano.

Infine vi è l’ipotesi più suggestiva, ma del tutto congetturale, di una fonte malevola. Come suggerisce Wallace, l’arrivo di Chaucer a Firenze nel 1373 coincise con i preparativi della lectura Dantis che Boccaccio avrebbe proferito davanti a Santo Stefano nell’ottobre di quell’anno. Non è dunque improbabile che Dante e la sua opera costituissero un argomento di profonda discussione all’interno del network di cui faceva parte anche lo scrittore inglese. La notizia erronea della collocazione della torre potrebbe dunque essergli stata riferita in quel circuito, magari da un personaggio locale (che non aveva letto la Nova cronaca di Villani). Dopo 85 anni dall’episodio che vi si consumò, il ricordo comincia a vacillare.

Oppure, per entrare però nel mondo della pura illazione giocosa, potremmo immaginare che il consulente di Chaucer fosse un cittadino pisano che scambia volontariamente, per pura burla linguistica ai danni di un visitatore straniero, la nota Torre della Fame nella piazza degli Anziani con una più rustica e modesta (ma assonante) Torre delle Fave, sita in «Cappella di S. Apollinare in Barbaricina», le cui prime attestazioni nei documenti del Comune di Pisa risalgono al 1343.

Al di là della ricostruzione filologica, tuttavia, permane la novità di un sito che per la prima volta si trasforma in un vero e proprio luogo di culto grazie alla letteratura europea, quando anche la memoria locale sembra venire meno.

1596

Robert Dallington

Ci sono, oltre alle comodità del sito, che si trova tra Firenze e Livorno, altri tre motivi per cui questa città viene frequentata, altrimenti sarebbe del tutto desolata… Un altro [secondo] motivo, è che qui ha sede l'Ordine di Santo Stefano: i Cavalieri di quest'ordine hanno qui il loro palazzo, i funzionari e altre dipendenze… Non lontano da questo posto [Piazza dei Miracoli] sorge un'antica torre diruta, che chiamano Torre di fame, in ricordo della spietata crudeltà dell'arcivescovo Ruggiero, il quale, sospettandolo di tradimento, vi fece murare il conte Ugolino, un nobile pisano, e i suoi quattro figli, facendoli morire di fame, della qual cosa discorre molto elegantemente Dante nel suo 33° capitolo dell'Inferno, fingendo che lì, per il tormento dovuto a questo misfatto, il conte si accanisca sulla testa del vescovo con un’avidità insaziabile.

There are, besides the commodity of the seat, lying betweene Florence and Lyvorno, three other causes, that this cittie is frequented, otherwise it would be very desolate… Another is, for that it is the place where properly the order of S. Stephen is resident, where the Knights of this order have their Pallace, Officers, and other dependances. Not farre from this place is an old ruinous Tower, called by them Torre di fame in memory of the mercylesse crueltie of Ruggiero the Archbishop, who upon suspition of treason immured therein Conte Hugolino a noble Pisano, and his foure children, causing them to be starved: of whom Dante the poet in his 33 chapter dell’Inferno, very elegantly dischourseth, faining, that there for a torment due to such a fact, the Conte lireth upon the Bishopshead with a never satisfied greednesse.

A Survey of the Great Duke State of Tuscany (1596)

Robert Dallington (Geddington, 1561-Lonton, 1637) è uno scrittore inglese. Di umili origini, nasce a Geddington, nel Northamptonschire. Dal 1575 al 1580 è segnalato a Cambridge, come allievo del Benet College (attuale Corpus Christi). Rispettato consigliere dei principi reali Enrico e Carlo, è autore di una raccolta di elegie e di un Aphorismes Civill and Military (1613). La notorietà, tuttavia, giunse con i due volumi di viaggi pubblicati rispettivamente nel 1604 e nel 1605: The View of Fraunce e A Survey of Tuscany. La passione per l’Italia e la sua cultura attraversa l’intera carriera dello scrittore: il Survey è preceduto dalla traduzione parziale (da intendersi anche come propedeutica al viaggio) di una delle opere più suggestive del tardo Quattrocento: l’Hipnerotomachia Poliphyli (1° ed. or. 1499) di Francesco Colonna pubblicata, con le sole iniziali, nel 1592, mentre gli stessi Aphorismes sono un florilegio di brani tratti dalle opere di Francesco Guicciardini. Nella lettura di Karl Joseph Höltgen, Dallington rappresenta una delle figure che maggiormente contribuirono a introdurre un’immagine rinnovata della cultura italiana nell’Inghilterra elisabettiana, ampliandone così gli orizzonti estetici e riannodando le fila del rapporto con l’Europa.

Il volume sull’Italia, inizialmente circolante solo in forma manoscritta, restituisce il resoconto del viaggio che Dallington intraprese nel 1596, in qualità di segretario e tutore di Roger Manners, quinto conte di Rutland. Per quanto le relazioni tra Giacomo I e la corte dei Medici fossero molto buone (il sovrano inglese era intenzionato a dare in sposo suo figlio Henry alla figlia del granduca) e fosse del tutto positiva e soddisfacente l’esperienza di Dallington in Toscana, gli ambienti della cancelleria di Ferdinando I de’ Medici interpretarono il volume come un pamphlet antimediceo, tanto che Ottaviano Lotti, residente granducale a Londra, ne chiese il ritiro delle copie.

Nel 1596, quando Dallington intraprese il suo viaggio, l’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano e il suo quartier generale posto nella Piazza rappresentavano ancora una novità assoluta all’interno della cornice urbana. Tuttavia, il punto di maggiore interesse della descrizione offerta dallo scrittore inglese risiede nella speciale menzione della «old ruinous Tower», la Torre della Fame, dove Ugolino e i suoi figli trovarono la morte.

Note:

In basso: «Piazza dei Cavalieri colla Torre del conte Ugolino»; in basso a destra: «Questo disegno fu fatto prima del 1596»

Poiché sulla facciata del Palazzo della Carovana non sono presenti i busti dei granduchi, il termine ante quem può essere spostato al 1590, anno in cui venne collocato il ritratto di Cosimo I.

Copyright:
Foto di Giandonato Tartarelli, Scuola Normale Superiore. Su concessione del Ministero della Cultura – Direzione regionale Musei della Toscana – Firenze
Testimonianze – Dallington – Tartarelli – Palazzo reale – N. 1286 (Fondo Grafica)
Veduta di Piazza dei Cavalieri, particolare della Torre della Fame, XIX secolo (ricalco da un disegno precedente il 1590). Pisa, Palazzo Reale, Fondo Grafica, inv. 1286

Si tratta di uno dei primi accenni alla fortuna ‘turistica’ della torre fuori d’Italia e ricorda come nel 1596 essa non fosse ancora inglobata nel futuro Palazzo dell’Orologio: proprio durante la pubblicazione del Survey, infatti, inizieranno i lavori di ristrutturazione che dureranno dal 1605 al 1608. Il suo profilo in rovina (già Trifon Gabriele in un appunto vergato mezzo secolo prima ne segnalava il pessimo stato di conservazione) si trasforma così in un luogo di culto per i letterati europei che scoprono il genio di Dante. Infine, interessante notare l’associazione della struttura alla non vicinissima Piazza dei Miracoli piuttosto che alla moderna Piazza dei Cavalieri: si tratta di un collegamento incentivato forse anche dall’antico orientamento della torre, il cui ingresso stando a quanto suggeriscono i dati a disposizione, dava le spalle alla piazza, favorendone l’isolamento dal contesto vasariano.

Media gallery

Note:

In basso: «Piazza dei Cavalieri colla Torre del conte Ugolino»; in basso a destra: «Questo disegno fu fatto prima del 1596»

Poiché sulla facciata del Palazzo della Carovana non sono presenti i busti dei granduchi, il termine ante quem può essere spostato al 1590, anno in cui venne collocato il ritratto di Cosimo I.

Copyright:
Foto di Giandonato Tartarelli, Scuola Normale Superiore. Su concessione del Ministero della Cultura – Direzione regionale Musei della Toscana – Firenze
Testimonianze – Dallington – Tartarelli – Palazzo reale – N. 1286 (Fondo Grafica)
1597

Giovanni Botero

Pisa fu già tanto facoltosa che contrastò con grosse armate, e co’ Venetiani, e co’ Genovesi… Rovinò per la strage, e rotta dell’armata loro in un fatto d’arme co’ Genovesi presso l’Isola del Giglio, perché ne restarono tanto debeli che non mai più poterono alzar il capo: anzi furono sforzati a piegar il collo sotto ’l giogo de’ Fiorentini, da quali ribellatisi nella venuta di Carlo VIII re di Francia, et di nuovo soggiogati in quindici anni si disertò la città quasi affatto. Perché i suoi cittadini, impatienti del dominio fiorentino, passarono in Sardegna, in Sicilia et in altri luoghi ad habitare. Così mancando et gli habitanti alla città, e i lavoratori al contado, il paese, che è di sito basso, resta soverchiato dall’humidità che rende l’aria pestilente. Il gran duca Cosmo procurò d’appopolarla co’l favorire lo studio et co’l fabricarvi un bel palazzo per la residenza dei Cavallieri di San Stefano, et co’l concedere diverse esenzioni a gli habitatori, che non vi hanno però fin hora potuto allignare.

Delle relationi universali (1597)

Giovanni Botero (Bene 1544-Torino 1617) è uno scrittore italiano. Entrato nella Compagnia di Gesù nel 1560 ne uscì nel 1580 al culmine di prolungati attriti con i superiori. Segretario di Carlo Borromeo, passò dunque al servizio di Carlo Emanuele I di Savoia prima di ricoprire la carica di tutore di Federico Borromeo, ruolo che mantenne fino al 1598. Ripreso il suo incarico presso la corte torinese come precettore dei figli del duca, vi svolse anche compiti di consigliere politico. Autore di numerose opere di filosofia morale, retorica, omiletica ed epistolografia, nonché di scritti appartenenti al genere della biografia politico-militare, Botero è universalmente noto per il suo trattato Della Ragion di Stato, uscito dai torchi veneziani di Giolito nel 1589. Tutta la produzione intellettuale di Botero è riconducibile a una lunga e articolata polemica (non priva di prestiti importanti) con Nicolò Machiavelli. Al centro della riflessione dello scrittore è la necessità di conciliare le procedure della conservazione e gestione degli stati con la considerazione morale (evangelica) e in particolare di porre tale unione sotto l’egida esclusiva della Chiesa cattolica. La sua opera avrà vasta eco europea, collocandosi tra il pensiero di Macchiavelli e Jean Bodin, dai quali tuttavia si distanzia per la centralità accordata nei suoi scritti a tematiche come l’economica e la demografia, eccentriche rispetto alla tradizionale primazìa giuridica (di cui non era peritus).

In quello che molti considerano il suo opus magnum, Delle relazioni universali, pubblicato in quattro parti dal 1591 al 1596 (una quinta vedrà la luce postuma solo nel 1895), Botero intendeva offrire un originale «repertorio organico di antropogeografia» allo scopo di rimarcare la centralità ecumenica del cattolicesimo romano. Diventerà ben presto, come ha scritto Luigi Firpo, «il vero e proprio manuale geopolitico di tutta la classe dirigente europea», cui arrisero numerose ristampe e traduzioni in latino, spagnolo, tedesco, inglese e polacco. Nella prima parte (1591), che comprende una compilazione delle caratteristiche geografiche e delle attività umane del mondo conosciuto, Botero presenta una descrizione della Toscana in cui ampio spazio è dedicato alla città di Pisa. In particolare, lo scrittore passa in rassegna le politiche che l’amministrazione granducale aveva promosso negli ultimi anni per risollevare le sorti di una città in cronico declino (datato, insolitamente, dalla battaglia dell’Isola del Giglio contro Genova del 1241). Accanto allo sviluppo del polo universitario e alla messa a punto di politiche fiscali ad hoc per il ripopolamento, Botero segnala l’istituzione dell’Ordine cavalleresco di Santo Stefano papa e martire e soprattutto la costruzione della sua prestigiosa sede («un bel palazzo per la residenza», l’attuale Palazzo della Carovana), rimarcando, con un accenno rapido ma non per questo meno incisivo, l’importanza di un progetto in cui riconfigurazione urbanistica e sfarzo estetico concorrevano al rilancio della città. La nascita (o rinascita) di Piazza dei Cavalieri diventa così una lezione di buon governo che, attraverso la fortuna delle Relazioni, tutte le amministrazioni europee avrebbero appreso.

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