In un ambiente secondario della chiesa conventuale pisana, a lato dell’area presbiteriale, è conservato un gruppo scultoreo monumentale, in legno ingessato, composto da tre figure principali e tre putti, più grandi del naturale, opera di Giovanni Battista Foggini, artista che aveva già lasciato (con il busto di Ferdinando II de’ Medici) e avrebbe continuato a lasciare (con il busto di Cosimo III de’ Medici) prestigiose prove della sua arte in Piazza dei Cavalieri. Al centro, seduto su nuvole, in abito pontificale e con la tiara in testa, è il santo patrono e titolare dell’Ordine, Stefano papa e martire. Nella mano destra tiene la croce dei Cavalieri, mentre allunga la sinistra in atto benedicente. Di fianco, alla sua sinistra, si erge stante la figura della Fede, rappresentata con i tradizionali attributi della croce e del calice. Alla destra del santo un’altra allegoria, inginocchiata, è riconoscibile come la Religione, ovvero lo stesso Ordine militare-religioso fondato da Cosimo de’ Medici. Tre putti infine sono disposti intorno al papa, uno dei quali reca la spada, simbolo sia del martirio del santo decollato, sia degli stessi cavalieri stefaniani. In basso è appoggiato uno scudo con la croce dell’Ordine. Quasi dimenticato dalla critica fino alla sua recente valorizzazione in un saggio negli Annali della Scuola Normale, il gruppo precede di più di due decenni il completamento dell’altare maggiore di Santo Stefano, e fu preparato da Foggini in occasione della traslazione delle reliquie del santo nell’omonima chiesa dell’Ordine, celebrata con una solenne processione cittadina il 25 aprile 1683, per volere dal granduca Cosimo III de’ Medici.
In un momento in cui già stavano circolando diverse proposte avanzate da più artisti per l’arredo definitivo dell’altare stefaniano, Foggini e Pier Francesco Silvani si incontrarono a Pisa a metà settembre 1682 ed elaborarono insieme un nuovo progetto architettonico-scultoreo, attestato da due disegni conservati all’Albertina di Vienna, da realizzarsi con materie effimere in tempo per le cerimonie, auspicando poi in una sua traduzione in marmo. Appena trentenne, forte della formazione ricevuta nella bottega dello zio legnaiolo Jacopo Maria Foggini, Giovanni Battista prima preparò alcuni modelli in cera e fittili, poi scolpì il gruppo assemblando insieme diversi legni di varia provenienza toscana. Tra questi spicca l’uso del gattice, un tipo di pioppo bianco (populus alba) tenero da lavorare, ma non in grado di garantire un alto livello di finitura. La scelta del materiale, attestata dai documenti conservati, conferma così tanto la natura effimera dell’opera, non pensata per sopravvive a lungo, quanto la necessità di procedere con una sua esecuzione veloce, poi completata da uno strato di gesso per la modellazione e per fingere il marmo. Per l’impresa, condotta a Firenze con l’ausilio di maestranze, Foggini sarebbe stato pagato solo 300 scudi. Al termine, il gruppo fu trasportato a Pisa, in tempo per essere collocato pochi giorni prima della processione all’interno della struttura lignea creata su disegno di Silvani e dipinta in finto marmo.
https://www.themorgan.org/drawings/item/140946 (attr. a Stefano della Bella)
Dall’accurata relazione delle cerimonie firmata da Diacinto Maria Marmi sappiamo che «la statua del santo in mezzo alla Fede et alla Religione con alcuni puttini, scultura di Giovanni Battista Foggini», fu «universalmente molto lodata», così come che sopra di essa «restava alzato un baldacchino di velluto rosso piano», mentre davanti venne collocata la cassa con le reliquie appena traslate. Un disegno oggi conservato alla Morgan Library di New York, di attribuzione incerta (tra Stefano della Bella e Domenico Tempesti) conferma la descrizione di Marmi, consegnandoci una vivida testimonianza tanto della cerimonia, quanto dell’aspetto del gruppo sull’altare, dove sarebbe rimasto per quasi vent’anni (sfidando ogni pronostico), ovvero finché non fu avviata la costruzione dell’opera in marmo definitiva, nel 1701, secondo un progetto diverso, questa volta interamente ideato da Foggini.
Nel 1716, il gruppo ligneo, non più necessario all’arredo di Santo Stefano, fu donato alla chiesa pisana di San Paolo a Ripa d’Arno, dove rimase grossomodo fino alla metà dell’Ottocento. Non sappiamo quando avvenne il suo temporaneo trasferimento in un locale al piano terra del Palazzo dei Dodici, dove una lettera della Deputazione Provinciale di Pisa al Soprintendente ai Monumenti della Provincia lo ricorda nel 1923, già prospettando il trasferimento dei «modelli che hanno servito per il gruppo dell’altare maggiore della storica chiesa dei Cavalieri di Santo Stefano, modelli che troverebbero più conveniente e decoroso posto in uno dei locali annessi alla chiesa stessa. È quindi anche intendimento di questa amministrazione provinciale di effettuare il trasferimento dei surrammentati modelli dal magazzino dove trovasi attualmente alla suddetta chiesa quando nulla osti da parte della signoria vostra illustrissima».
Rilocato nella sacrestia della chiesa dei Cavalieri, il gruppo è ancora oggi in buono stato di conservazione. Nel suo duplice status sia di apparato temporaneo sia di modello a grandezza naturale destinato a essere poi scolpito in marmo, appartiene a una produzione effimera scultorea che raramente è sopravvissuta nel tempo e costituisce dunque un’opera di particolare importanza per la storia dell’arte d’età barocca.
Iscriviti alla newsletter di Piazza dei Cavalieri
e resta aggiornato sui progressi e sulle novità del progetto.