Lo stemma mediceo-stefaniano, affiancato dalle figure della Religione e della Giustizia, caratterizza l’asse centrale della facciata del Palazzo della Carovana.
L’arme consiste nello scudo, con i bisanti o palle medicee e la croce stefaniana, che fuoriesce dalla bocca di un mascherone con la fronte coronata dal giglio, simbolo araldico della famiglia Medici. Il tema della maschera e, più in generale, l’attribuzione di sembianze animate agli oggetti, tra cui elmi e armature, è tipico del gusto decorativo manierista che si è andato diffondendo nel corso del Cinquecento anche sulla scorta della mitizzazione dei modelli michelangioleschi delle Cappelle Medicee. Dallo scudo si estendono eleganti volute, mentre lungo il profilo inferiore pende il collare dell’Ordine del Toson d’Oro, l’alta onorificenza concessa a Cosimo I dall’imperatore Carlo V nel 1546. Lo stemma è sormontato da un ornamento a spuntoni, in cattivo stato di conservazione, che richiama una corona ducale – Cosimo divenne granduca solo nel 1569 – ed è affiancato da due corposi fiocchi.
La Religione e la Giustizia, comodamente adagiate a gambe incrociate su festoni di frutta matura, che connettono lo stemma al timpano curvilineo della porta finestra del primo piano, sono similmente abbigliate: entrambe portano un elmo animato e indossano armature distinte da raffinate variazioni. La Religione ha il petto ornato da un cherubino e un gonnellino a frange (pterigi), mentre quello della Giustizia, che porta anche uno spallaccio leonino – animale che la identifica –, è ricoperto di scaglie. Le due figure, che rappresentano la doppia valenza del potere di Cosimo in qualità di duca e gran maestro dell’ordine, stringono con una mano le volute che fuoriescono dal copricapo del mascherone. È più complicato invece identificare l’attributo della mano libera, rifatta da un restauro nella Religione e poco visibile nella Giustizia. L’opulenta ghirlanda su cui seggono potrebbe riferirsi, secondo Hildegard Utz, all’opera di bonifica da parte di Cosimo delle paludi pisane e alla nuova fertilità che questo intervento mediceo aveva assicurato ai territori circostanti.
Il complesso marmoreo è stato eseguito da Stoldo Lorenzi da Settignano su disegno di Giorgio Vasari. Il contratto stipulato tra lo scultore e l’architetto, sottoscritto anche da David Fortini, che sovraintendeva alle fabbriche dell’ordine, è datato 6 luglio 1562. Il documento prescrive l’esecuzione dello stemma affiancato da due figure di marmo per un’altezza di tre braccia (174 cm circa) «sicondo il modello di terra fatto e mostro a S.E. [Cosimo I]» entro il termine di 12 mesi dalla data di stipula. Allo scultore sono promessi 200 scudi in diverse tornate: i primi 50 «per potere cavare i marmi», quindi per procurarsi il materiale, e le rate successive ogni 4 mesi. Si chiarisce che alla somma pattuita potrà essere aggiunto «quello che la sarà stimata da dua [esperti] dell’arte» e da Vasari stesso. La cifra risulterà alla fine ascendere a 280 scudi.
Nell’elenco di «Disegni, piante, proffili et modanature per modelli da condurre in palazzo et la chiesa della ill.ma Religione de’ Cavalieri di Santo Stefano in Pisa» eseguiti da Vasari, che lo stesso inviò all’ordine nel 1569, compare proprio «un disegnio dell’arme di marmo con le dua figure di S.E.I. che è sopra la porta che furono per ordine mio fatte fare a Stoldo Lorenzi».
È evidente dunque lo stretto controllo esercitato dall’artista aretino sulla realizzazione dell’arredo scultoreo della facciata. Ma se è vero, come sottolineato da Roberto Paolo Ciardi, che la regia vasariana impose a Stoldo uno scarto stilistico in termini di ingentilimento delle forme rispetto alla durezza del modellato riscontrabile nella sua produzione autonoma, e un avvicinamento alla maniera del pittore, non può dirsi certa, a mio giudizio, la lettura del contratto proposta da parte della critica, secondo cui il modello in terracotta venne eseguito dallo stesso Vasari. Il modello citato dal documento non è necessariamente «fatto» dal pittore e architetto, che pure nelle Teoriche aveva prescritto ai pittori di eseguire modelli in terracotta per definire luci e ombre delle figure. Potrebbe invece essere stato elaborato da Stoldo sulla base del disegno vasariano e, dopo essere passato al vaglio del giudizio del maestro, venire mostrato a Cosimo. La questione del ‘Vasari scultore’, per quanto estremamente affascinante, rimane a mio giudizio aperta.
L’esecuzione è immediatamente registrata nelle Vite vasariane, nella parte dedicata agli Accademici del Disegno, menzionando Lorenzi: «ha fatto il medesimo con ordine di Giorgio Vasari nel mezzo della facciata del Palazzo de’ Cavalieri di Santo Stefano in Pisa e sopra la porta principale, un arme del signor duca, gran maestro, di marmo, grandissima, messa in mezzo da due statue tonde, la Religione e la Giustizia che sono veramente bellissime e lodatissime da tutti coloro che se n’intendono». Gli fanno eco in termini di apprezzamento Raffaello Borghini e nell’Ottocento Ranieri Grassi. La critica più recente ha ravvisato nell’opera un’influenza michelangiolesca, temperata da un’acribia descrittiva e da effetti luministici, ascrivibile alla volontà di Vasari.
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