Nato a Schönbrunn il 3 maggio 1747, figlio di Francesco I di Lorena e di Maria Teresa d’Austria, Pietro Leopoldo I di Toscana fu granduca dal 1765 al 1790 e, negli ultimi due anni della sua vita, imperatore del Sacro Romano Impero come Leopoldo II d’Asburgo-Lorena.
Educato alla severa corte viennese, si trovò diciottenne a governare la Toscana in un contesto di relativa tranquillità politica, che gli permise di smantellare progressivamente l’assetto del consiglio di reggenza a suo tempo insediato dal padre, imperatore a Vienna, per governare materialmente il granducato. Proseguendo e ampliando la concezione di un assolutismo di diretta ispirazione illuministica, non inedita per il potere lorenese, il ‘fisiocratico’ Pietro Leopoldo guadagnò presto a buon diritto quella fama di sovrano colto, tollerante e riformatore che lo accompagna anche in sede storiografica. Nei venticinque anni del suo regno, la Toscana rappresentò un esempio solido e ideologicamente strutturato di sovranità riformatrice, impegnata in un profondo riassetto istituzionale e amministrativo e in una razionalizzazione della fiscalità. Il granducato si caratterizzò inoltre per una tendenza al depotenziamento dei privilegi aristocratici e per un graduale ma esplicito distacco dalla Curia romana.
Sin dal suo insediamento, il granduca si recò regolarmente nelle maggiori città della Toscana: fra l’altro, già il 14 maggio 1766, poco più di un mese dopo il giuramento di fedeltà ricevuto il 31 marzo di quell’anno a Firenze, egli fu festosamente accolto a Pisa insieme alla consorte Maria Luisa di Borbone-Spagna. Negli anni successivi, l’assidua presenza dei sovrani su tutto il territorio toscano faciliterà una percezione favorevole della casata Asburgo-Lorena. La forte vicinanza pietroleopoldina contribuirà infatti, agli occhi della popolazione, a segnare lo scarto con il padre Francesco Stefano e forse più ancora con i predecessori Medici, residenti a Firenze e non sempre disposti a concedersi agli abitanti delle province. Pietro Leopoldo soggiornò invece frequentemente a Pisa e con regolarità cominciò a stabilirvisi insieme alla famiglia durante i mesi invernali, per approfittare della mitezza del clima, della natura ‘defilata’ del luogo e della sua vicinanza con il nodo commerciale di Livorno.
Questa predilezione per la città toscana si concretizzò nell’adattamento dei suoi palazzi granducali alle esigenze della corte e nel tentativo di potenziamento dell’ateneo cittadino, dotato nel 1786 di un nuovo regolamento degli esami di laurea. A Pisa, inoltre, Pietro Leopoldo firmò, il 30 novembre di quello stesso anno, la celeberrima Nuova legge criminale, capolavoro della sua opera di riforma. Oltre ad aver abolito la tortura, i delitti di lesa maestà e la confisca dei beni, la Toscana si trovò così ad essere il primo Stato al mondo in cui la pena di morte venne bandita ufficialmente e con «legge perpetua».
Nei suoi lunghi e frequenti soggiorni in città, Pietro Leopoldo seguiva con attenzione anche le attività, le bonifiche e i progetti urbanistico-architettonici in corso. In occasione della visita del giugno 1777, nelle sue Relazioni sul governo della Toscana si legge: «sua altezza reale vide e osservò la fabbrica della Carovana e palazzo dei Cavalieri, nella quale la fabbrica nuova, diretta dal cavalier operaio [Antonio] Catanti, per accomodare i quartieri nuovi per i carovanisti è quasi terminata ed è ottima, essendovi luogo da mettervene 24 o 26». Il riferimento è al progetto, approvato dallo stesso granduca il 27 febbraio precedente (di cui egli monitorava di persona l’avanzamento a distanza di pochi mesi), che avrebbe soprattutto portato, nel Palazzo della Carovana, alla chiusura con vetrate degli archi nel loggiato sul cortile e alla divisione del vecchio Salone dell’Armeria in due mezzanini (corrispondenti oggi con la Sala della Colonna e l’Aula Bianchi).
In effetti, già in occasione della sua prima visita in città, nel 1766, il granduca aveva voluto attraversare più volte in carrozza la maestosa Piazza dei Cavalieri illuminata a festa. All’inizio di quell’anno, lo storico pisano Flaminio dal Borgo aveva persino proposto la realizzazione di un gigantesco monumento al padre e predecessore Francesco I (di cui aveva appena scritto l’orazione funebre per le esequie in Santo Stefano), nonché di un busto a ideale continuazione dell’infilata di ritratti medicei. Il fastidio di Pietro Leopoldo per le eccessive celebrazioni monumentali non permise però di concretizzare il progetto nell’area urbana che, nei momenti di sua permanenza stabile in città, avrebbe ospitato nei propri palazzi le tre segreterie di Stato, Finanze e Guerra del granduca. Quanto all’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano, già oggetto di alcuni importanti mutamenti negli anni del consiglio di reggenza – che lo avevano di fatto collocato sotto l’autorità del granduca, indebolendo l’autonomia dell’aristocrazia toscana –, esso cambiò notevolmente il proprio profilo durante il governo di Pietro Leopoldo, il quale ne giudicava ormai anacronistica e irrilevante la funzione militare e marittima («L’idea di far vedere la bandiera toscana nei porti esteri non è che una idea di lusso e di vanità», annota nelle Relazioni). Con diversi provvedimenti, fra i quali spicca il motu proprio del 20 agosto 1775, Pietro Leopoldo riformava l’istituzione e ne proseguiva il processo di ridimensionamento, poi ripreso dai suoi successori e, in particolare, da Leopoldo II di Toscana.
Pietro Leopoldo abbandonò il governo della Toscana solo nel 1790, in favore del figlio Ferdinando, quando la morte del fratello Giuseppe II lo costrinse ad assumere il ruolo di imperatore, in uno scenario internazionale compromesso: in piena Rivoluzione francese e con l’Austria da poco entrata in guerra, a fianco dell’Impero russo, contro la Turchia. Morì a Vienna, il 30 marzo del 1792. Più di un quarantennio dopo la sua morte, la città di Pisa avrebbe eretto a ricordo del granduca, che in Toscana fu principale interprete dell’assolutismo illuminato, il monumento in Piazza Martiri della libertà, inaugurato nel 1833.
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