Il granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici nacque a Firenze nel 1549. Era il quintogenito di Cosimo de’ Medici (in quel momento ancora duca di Firenze) e di Eleonora di Toledo, figlia del viceré di Napoli. Anche Ferdinando come il padre partiva con prospettive di successione alquanto ridotte, essendo ultimo di un’ampia discendenza maschile. Tuttavia, dopo la sopraggiunta morte, nel novembre 1562, di due fratelli maggiori (Giovanni e Garzia), si trovò in posizione di vantaggio, secondo all’erede al titolo granducale Francesco. Poco avvezzo alle lettere e agli studi, ebbe come precettori (che lamentarono la sua svogliatezza e le sue scarse attitudini intellettuali) Ludovico Beccadelli, Antonio Angeli da Barga e Pietro Usimbardi. A soli tredici anni fu nominato cardinale da Pio IV coprendo il seggio che era stato del fratello Giovanni. Nonostante gli sforzi del padre, Ferdinando non riuscì però mai a ottenere l’arcivescovado di Pisa. Presso la Curia romana si distinse per intuito politico e capacità amministrative. Qui ricoprì, negli anni ottanta, anche incarichi di rilievo: lavorò alla pianificazione urbanistica della Santa Sede (predispose in particolare la progettazione di acquedotti), concorse all’emanazione di misure di contrasto al banditismo e, in qualità di prorettore dei patriarcati di Antiochia, Alessandria e del Regno di Etiopia, «si fece carico di organizzare una stamperia orientale, che avrebbe dovuto in primo luogo pubblicare una versione della Bibbia in lingua araba» (come scrive Elena Fasano Guarini).
Alla morte del fratello maggiore Francesco, nel 1587, Ferdinando ascese al titolo granducale (e a quello di gran maestro stefaniano), «pur mantenendo al momento il cappello cardinalizio e i benefici connessi» (Fasano Guarini), a cui avrebbe rinunciato solo alla fine del 1588 per sposare Cristina di Lorena: non sorprende dunque di trovare, relative al suo primo anno di governo, medaglie celebrative nelle quali al rovescio si sovrappongono corona granducale, croce dei Santo Stefano e, appunto, cappello cardinalizio. In questa prima fase furono invece contrastanti i rapporti con la Spagna: subì ad esempio la freddezza (quando non l’aperta ostilità) di Filippo II, che non lo investì formalmente del governo di Siena.
Grande e costante fu l’attenzione riservata dal granduca alle sorti di Pisa. In continuità con gli indirizzi del padre, Ferdinando proseguì la politica produttiva e di espansione del porto di Livorno (usato in particolare per l’approdo di grandi partite di grano che Ferdinando acquistava dalla Germania e dall’Inghilterra) come snodo logistico regionale in sinergia con Pisa. A partire dagli anni novanta del Cinquecento introdusse una serie di norme (conosciute anche come ‘livornine’) tese ad attrarre, attraverso politiche di favore di natura fiscale e di libertà di culto, l’inurbamento di mercanti levantini nelle due città, nel tentativo di potenziarne il rilievo commerciale e assieme di porre un argine alla decrescita demografica. Anche diverse scelte di politica estera, come quella di difendere l’Ungheria dalle mire ottomane, è ascrivibile alla volontà di tutelare presidi commerciali essenziali per Livorno e Pisa che il granducato aveva in quelle aree. Infine, la complessiva ristrutturazione del sistema di fortificazioni messo in opera da Ferdinando denuncia il grande rilievo strategico che il comprensorio labronico-pisano rivestiva per l’intera regione.
Pisa assume poi un peso particolare nei progetti politici del granduca a seguito del rafforzamento da lui voluto del ruolo dei Cavalieri di Santo Stefano, soprattutto in funzione anti-barbaresca, per la quale procederà nel 1590 a una modifica degli statuti. Proprio tale operazione di rilancio complicò tuttavia in diversi casi la politica internazionale del Medici: l’attivismo dell’Ordine pose elementi di criticità nei rapporti con l’Inghilterra (a seguito in particolare della cattura di alcuni vascelli) e con l’Impero Ottomano, con cui Ferdinando tentava comunque di stringere rapporti commerciali. D’altra parte, sotto il comando di Iacopo Inghirami e di Giulio di Montauto, l’Ordine conoscerà il picco della propria potenza, con diverse imprese di rilievo internazionale come la battaglia di Bona del 1607, la (fallita) conquista di Cipro e lo spettacolare attacco a una carovana turca il 20 ottobre 1608. Per celebrare tali vittoriesi fece erigere una statua marmorea a Livorno, che sotto i suoi successori negli anni venti del Seicento sarebbe stata completata da Pietro Tacca con quattro figure in bronzo di uomini africani e turchi in catene, oggi nel suo insieme noto come Monumento dei Quattro mori, nel quale non solo non si taceva, ma al contrario si glorificava la dimensione schiavile dell’Ordine. Accanto alla proiezione militare sui mari, Ferdinando sviluppò notevolmente anche la dimensione commerciale del granducato: intensificò i rapporti con la Moscovia, attraverso gli avamposti del Mar Nero, tentò di stabilire contatti con le Indie orientali, nonché di creare basi toscane in Africa (Sierra Leone) e nel Nuovo Mondo (in particolare in Brasile).
La centralità di Pisa durante il governo di Ferdinando si segnala inoltre per una notevole campagna di lavori pubblici che riguardarono sia aspetti infrastrutturali, sia aspetti simbolici. Se per i primi il granduca finanziò la costruzione dell’acquedotto e le Logge di Banchi, per i secondi va menzionata la politica di promozione del potere mediceo con la commissione della statua di Cosimo I posizionata in Piazza dei Cavalieri e di quella che ritrae lo stesso Ferdinando, originariamente collocata sui Lungarni e attualmente visibile in Piazza Carrara, entrambe realizzate da Pietro Francavilla. Procedette infine a dare nuova sede all’Orto botanico e ad accrescere il prestigio della locale Università, con l’inaugurazione del Collegio Ferdinando destinato a ospitare giovani studiosi indigenti e meritevoli. È tuttavia in Piazza dei Cavalieri che si concentrò l’attenzione del granduca: qui diede avvio a una serie di lavori di riqualificazione che riguardarono in particolare il futuro Palazzo dei Dodici (dove all’interno è ancora conservato un suo ritratto marmoreo), nonché alcuni elementi della chiesa di Santo Stefano dei Cavalieri. Promosse inoltre l’impiego della facciata della Carovana come un palinsesto su cui annotare lo sviluppo della dinastia medicea, con la commissione di tre busti granducali, tra i quali il proprio.
Ma ciò che forse più ossessionava Ferdinando erano le antiche vestigia medievali che ancora persistevano, e in particolare l’antico sito dell’incarcerazione di Ugolino, la Torre della Fame. Come riporta il cavalier Ippolito Bocciantini in un appunto del 1605 il granduca gli si rivolse personalmente in questi termini: «levatemi dinanzi questa memoria infame di questa torre che è veramente una memoria infame». I lavori di inglobamento dell’antica struttura nel nuovo Palazzo dell’Orologio terminarono nel 1608, facendo sparire ogni traccia del ricordo dantesco.
L’anno successivo, a Firenze, Ferdinando morì.
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