Carlo Antonio dal Pozzo

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Carlo Antonio dal Pozzo

[1547-1607]

Carlo Antonio dal Pozzo nacque a Biella il 30 novembre 1547, da una nobile famiglia gravitante attorno alla corte di Emanuele Filiberto, duca di Savoia. Da giovane figlio cadetto, intraprese lo studio del diritto all’Università di Bologna, dove si addottorò all’età di 19 anni: la qualifica conseguita lo abilitò alla pratica giuridica, consentendogli di ricoprire incarichi pubblici. Dopo un breve soggiorno a Roma, durante il quale fece probabilmente la conoscenza del cardinale Ferdinando de’ Medici, il biellese ottenne, nel 1571, il ruolo di Giudice di Ruota nella capitale granducale: si conserva nell’Archivio di Stato di Firenze una lettera dell’estate 1571 in cui l’uscente granduca Cosimo I accoglie di buon grado la proposta del cardinale Marco Antonio Bobba a fare di Carlo Antonio, suo protetto e segretario, il nuovo Giudice di Ruota di Firenze o di Siena (in base al posto che si sarebbe reso vacante prima). Pochi anni dopo, Dal Pozzo venne insignito della carica di Auditore Fiscale, divenendo nei fatti il giudice supervisore, per conto del granduca, dei tribunali criminali del territorio.

La carriera di Dal Pozzo, come si vedrà, proseguì parimenti sul binario giuridico e su quello ecclesiastico: in entrambe le direzioni egli ricevette importanti incentivi dalla casata medicea, a cui dimostrò d’essere un prezioso e stabile collaboratore anche quando si inaugurò il suo mandato episcopale a Pisa.

Nell’autunno 1582, infatti, nonostante papa Clemente VIII avesse espresso la sua preferenza per altri candidati, Carlo Antonio riuscì a ottenere l’arcivescovado di Pisa, più che per l’idoneità del suo cursus honorum ecclesiastico, per l’aperta intercessione del cardinale Ferdinando – sollecitata, per altro, dallo stesso Dal Pozzo – nei confronti del papa. Già a partire dagli anni settanta del Cinquecento, infatti, il nobiluomo piemontese aveva messo al servizio della famiglia granducale le sue competenze in materia di legge, divenendo dapprima il giurisperito di fiducia di Francesco I, granduca dal 1574, e poi il consigliere di Ferdinando I de’ Medici, quando questi succedette al fratello maggiore come terzo granduca di Toscana. Negli anni in cui fu arcivescovo, Carlo Antonio si adoperò fattivamente per la sua diocesi, patrocinando anzitutto il rinnovo del Palazzo Arcivescovile e poi sovrintendendo i lavori di restauro del Duomo di Pisa, gravemente colpito da un incendio nell’ottobre 1595. Nell’interessante scambio epistolare tra il ministro Belisario di Francesco Vinta e Giovanni di Agnolo Niccolini, inviato mediceo alla corte papale, quest’ultimo si rammaricava di dover informare il granduca che Clemente VIII aveva sconvenientemente commentato il catastrofico evento, imputandone la responsabilità all’arcivescovo Dal Pozzo per l’eccessiva «tolleranza» da lui dimostrata nei confronti degli ebrei stanziati in città: sosteneva infatti che «l’arcivescovo haveva un poco di colpa nel comportare che in quella città vi stessero hebrei et altra sorte di gente così fatte». La piccata reazione di Ferdinando non tardò ad arrivare; in una missiva del novembre 1595 indirizzata a Niccolini, il granduca ribadiva la piena fiducia in Dal Pozzo («per la sua integrità et sufficienza, et per il suo merito in tutti i conti»), ma ridimensionandone le competenze a Pisa («dovevate risponderle [al papa…] che voi non sapete [….] che egli [Dal Pozzo] sia però stato fatto da noi padrone di Pisa, né d’altra parte de nostri stati») e arrogando a sé la decisione di aver ammesso in città la comunità ebraica, peraltro con concessioni assai meno ampie di quanto il pontefice stesso non avesse loro rilasciato nei propri territori («che il comportar li Hebrei a Pisa tocca a noi, et non all’Arcivescovo, come li admette Sua Santità anche, come principe temporale, in Roma, in Ancona, et in altri luoghi de’ suoi domini, et con facultà di prestare ad usura, che non habbiamo voluto conceder noi mai»).

Questo rapporto privilegiato col granduca costituì la premessa per un’altra importante iniziativa promossa da Dal Pozzo nel 1599: la fondazione di una commenda di padronato nell’Ordine di Santo Stefano. Alla cosiddetta Commenda Putea – Carolus Antonius Puteus, alla maniera latina, si firmava per l’appunto l’arcivescovo di Pisa – il fondatore assegnò come primo cavaliere commendatore l’ancor giovane nipote, Cassiano Dal Pozzo, che sarebbe passato alla storia come collezionista accorto di disegni e raffinato committente d’arte (basti pensare alla probabile commissione a Gian Lorenzo Bernini del ritratto marmoreo dello zio Carlo Antonio, oggi conservato a Edimburgo). Come apprendiamo dallo strumento (ovvero dal contratto di fondazione) della Commenda Putea, l’estinzione della discendenza maschile dei Dal Pozzo avrebbe comportato la cessione dei diritti sull’istituto puteano al gran maestro dell’Ordine di Santo Stefano, il granduca di Toscana.

Un’operazione non dissimile da quella propugnata, un trentennio prima, dal cardinale Giovanni Ricci – che a Pisa aveva fondato un collegio «nel quale habbi da stare sempre 6 scolari del suo paese» –, compì Carlo Antonio istituendo il Collegio Puteano l’8 dicembre del 1604. Con una bolla e un breve emanati nel corso del 1604, papa Aldobrandini aveva rilasciato all’arcivescovo Dal Pozzo la licenza formale per fondare e dotare un collegio ad uso di una selezione di giovani studenti che da Biella si recavano a Pisa per frequentarne lo Studio Pubblico.

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Foto di Andrea Freccioni. ©️ Scuola Normale Superiore
Collegio Puteano – drone – Freccioni – DJI_0080
Pisa, Piazza dei Cavalieri, l'angolo sud-occidentale con il Palazzo dei Dodici, la Casa Auditoriale, il Collegio Puteano e la chiesa di San Rocco

Il 30 ottobre, Carlo Antonio aveva ottenuto la locazione perpetua «di tre case unite tra loro, situate a Pisa nella piazza comunemente detta la Piazza dei Cavalieri, congiunte a sud con il palazzo dei signori priori della città, a nord con la chiesa di San Pietro della compagnia di San Rocco, e ad ovest con l’orto della chiesa e prioria di San Sisto» (nell’originale latino: «trium domorum invicem iunctarum sitarum Pisis in Platea comuniter nuncupata la Piazza de Cavalieri, coherentium a Meridie Palatio Dominorum Priorum dicte Civitatis, a Septemtrione Ecclesie sub titulo Sancti Petri et Vocabulo Societatis Sancti Rocchi, et ab Occidente Horto Ecclesie sue Priorie Sancti Sixti»). In questo blocco edilizio, eretto nel fronte occidentale della piazza durante il gran magistero di Ferdinando I de’ Medici (1594-1597), Carlo Antonio poneva la sede del suo collegio, chiamato Puteano dal suo cognome. Il programma iconografico della facciata dell’edificio, affrescata da Michelangelo Cinganelli nel 1605, quando l’istituto aveva già aperto le sue porte, doveva insistere sulla missione ‘didattica’ del nuovo collegio, tramite la raffigurazione di grossi tomi, sparsi tra i vari registri, appesi a nastri o impugnati da Angeli intenti a leggerli e sfogliarli.

Dal Pozzo poté vedere l’istituto in funzione soltanto per pochi anni: nel 1607 infatti, le sue condizioni di salute peggiorarono repentinamente mentre si trovava in villeggiatura a Seravezza; morì il 13 luglio dello stesso anno, non prima di aver approntato e predisposto (sin dal 1600) la Cappella di San Girolamo nel Camposanto di Pisa come propria cappella funeraria. Le spoglie dell’arcivescovo furono condotte nel Battistero di San Giovanni e nel Duomo della città si svolsero le esequie: qui fu approntato il catafalco, decorato dal «pittore di Borgho [con] quattro arme fatte dipingere da mortorio».

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Foto di Antonia Reeve, National Galleries of Scotland. Creative Commons - CC by NC
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