Il Crocifisso ligneo conservato in chiesa fu donato alla Confraternita di San Rocco nel XVII secolo dalla Compagnia dei Bergamaschi, responsabile anche, quasi due secoli più tardi (1792), della sua sistemazione (ancora in essere) nel tabernacolo che sovrasta l’altare maggiore. L’opera vanta uno stretto legame con la storia di Pisa e con il suo culto, come testimonia il fatto che il 4 gennaio 1631 fu portata in processione per le strade cittadine, al fine di ottenere la cessazione della peste. Così ci descrive l’evento Pandolfo Titi: «essendo ricorso il popolo devoto colle sue preghiere a questo Crocifisso, dopo d’averlo condotto processionalmente per la città, per grazia del Signore cessò quel male, che andava rifinendo gli abitanti della medesima». Ancora nel XIX secolo si stabiliva una solenne celebrazione di tre giorni, a partire dal 3 maggio, in onore del manufatto ligneo, la cui iconografia consiste nel Christus patiens, ovvero nel Cristo morto con espressione dolente, evidenziata dalla bocca aperta, nell’esalazione dell’ultimo respiro.
Nel XVIII secolo il Crocifisso fu interamente ridipinto con una vernice scura, per nascondere il materiale povero di cui è costituito e simulare il più prezioso bronzo, mentre il perizoma fu dorato. La pratica, molto frequente in tutta Italia tra Settecento e Ottocento, oltre a testimoniare in generale la scarsa fortuna di cui ha goduto la scultura lignea in età moderna, è anche una delle cause tutt’oggi della difficile leggibilità del manufatto. Dopo la pulitura, infatti, la policromia originaria è andata perduta, per quanto siano stati preservati gli strati di gesso e colla con cui l’opera fu predisposta al colore. Si segnala, inoltre, una spaccatura che insiste dal ventre fino alla spalla destra del Cristo.
Anche a causa delle diverse puliture che il Crocifisso ha subito, i suoi elementi stilistici non sono facilmente identificabili. Lo scultore manifesta un gusto tardogotico nelle pieghe falciate e lineari che impreziosiscono il perizoma, ma l’adesione della stoffa di questo alle gambe del Cristo rivela un aggiornamento sulle novità della scultura toscana del primo Quattrocento. In questo senso si possono leggere l’interesse per un ritrovato rapporto tra le vesti e i corpi, teso a mettere in evidenza la struttura anatomica, e l’armonia proporzionale sottesa alla composizione della figura. In evidente contrasto con l’espressione patetica del volto, il corpo è intagliato secondo criteri di equilibrio delle parti. Questa compresenza di due livelli stilistici diversi ma ben integrati tra loro, per cui l’elemento trecentesco viene mantenuto ma riadattato alle novità quattrocentesche, ha spinto a identificare lo scultore come un anonimo artista toscano attivo tra i due secoli, e a collocare il Crocifisso nel quarto decennio del Quattrocento, o intorno alla sua metà. La croce non è coeva.
Va anche segnalato, in aggiunta a ciò, un carattere tipicamente nordico che amplia e complica l’orizzonte culturale del maestro: si considerino, a tal proposito, la caratteristica flessione del capo verso l’alto, assai rara in manufatti della stessa tipologia in Toscana, e la peculiare resa espressiva del dolore, unite alla magrezza molto marcata in particolare nelle braccia, in cui a tratti è ancora leggibile la trasparenza dell’epidermide sotto alla quale affiorano le vene.
La figura di Cristo, separata dalla croce, è stata esposta in occasione della mostra Sacre passioni. Scultura lignea a Pisa dal XII al XV secolo, tenuta tra il 2000 e il 2001 nel Museo Nazionale di San Matteo a Pisa, da segnalare come uno dei pochi momenti di fortuna critica dell’opera.
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