Superato il portale d’ingresso si accede a una struttura ad aula unica, con una volta a botte sostenuta da vele decorate da vasi, croci e dettagli fitomorfi (rimandi araldici della Compagnia di San Rocco), alternate a lunette con scudi figurati, tutte realizzate nel 1899 quando – come riporta una lapide commemorativa affissa alla parete sinistra – il conte Aloisio Boilleau finanziò i restauri in vista della riapertura al culto dell’edificio.
Al centro del soffitto campeggia invece un cielo stellato che accoglie nel mezzo un affresco avente per soggetto San Rocco che guarisce gli appestati, opera della prima metà del Settecento attribuita al pittore locale Francesco Venturi, inserita entro una cornice in stucco dal contorno mistilineo quadrilobato.
Sul lato sinistro della navata si trova un altare a edicola, incorniciato da due colonne corinzie dipinte a finto marmo a cui si affiancano, una per lato, due teste di cherubini, che spuntano tra i girali di acanto dei capitelli dorati. Un’iscrizione posta al di sotto della mensa in pietra serena ne documenta l’erezione nel 1632 ad opera di Ermolao e Francesco Curzi Caprili (il cui stemma familiare campeggia sulle basi destra e sinistra dell’altare), come voto a san Rocco contro la peste. Il riferimento a una «IMAGINEM HANC S. ROCCHI» lascia intendere che l’apparato prevedesse la presenza di un quadro dedicato al santo titolare, che non sembra però identificabile nella tela di stesso soggetto che vi si trova ora: riferita per tradizione al pittore fiorentino Giovanni Antonio Sogliani (1492-1544), essa era stata chiaramente concepita per un diverso alloggiamento, come testimoniano le aggiunte visibili nella zona superiore e inferiore. Vista tuttavia la vicinanza tipologica con l’altare settecentesco dedicato alla Madonna del Rosario (1722), sito dirimpetto sulla parete opposta e ad evidenza esemplato sul modello del più antico, si potrebbe anche ipotizzare che il dipinto fosse invece parte dell’allestimento originario e che lo spazio riservato al quadro sia stato in un secondo momento modificato per adattarlo alle forme del nuovo altare, rendendo necessario il cambio di formato.
I lati dell’arco presbiteriale, datato da un’iscrizione al 1630, ospitano due tabernacoli in origine destinati a contenere reliquiari devozionali connessi alla peste cittadina di quell’anno e voluti nel 1634 rispettivamente dai pisani Luca Giamboni (a sinistra) e Rocco Romigialli (a destra), come si legge nei cartigli commemorativi presenti sulle basi.
Sui lati estremi delle due pareti laterali si aprono inoltre due piccole cappelle: nella prima (a sinistra entrando), di impianto settecentesco, è posto un altare entro cui è oggi racchiusa una moderna statua policroma di Cristo; la seconda (a destra) ha invece ospitato fino a pochi anni fa un monumentale Crocifisso in legno dipinto, con corona dorata e occhi aperti, secondo un’iconografia piuttosto diffusa in area toscana che recupera un prototipo dell’XI secolo custodito nel Duomo di Lucca. L’opera, databile al 1370, era stata scolpita per la vicina chiesa di San Sisto e traslata a San Rocco nel 1786, insieme a una lapide di accompagnamento. Attualmente si trova invece riallestita nella navata destra di San Sisto, mentre sull’altare lasciato spoglio è stato posto un dipinto con San Giovanni Bosco e alcuni giovani, firmato nel 1956 dal pittore pisano Mino Carrani. Entrambi questi spazi, così come la volta dell’edificio, furono interessati dai lavori condotti nel 1927 dal pittore Cesare Cigheri, autore nel vicino Palazzo della Carovana di vari interventi decorativi, in particolare nella Sala degli Stemmi e in Sala Azzurra.
L’altare maggiore, risalente alla fine del XVIII secolo e posto a sostituzione del precedente, rimosso nel 1786 a seguito della momentanea soppressione della chiesa (e oggi visibile nell’adiacente San Sisto), è realizzato in marmo e stucco bianco e posto al di sotto di una volta dipinta con il simbolo della Trinità tra raggi di luce e cherubini entro nubi; conserva inoltre, dietro una teca vetrata, un Crocifisso quattrocentesco in legno, ceduto all’oratorio dalla Compagnia dei Bergamaschi e per secoli coperto da una pittura scura atta a simulare il bronzo, rimossa solo da un restauro novecentesco. Considerato miracoloso, esso venne per questo portato sovente in processione durante le pestilenze. Subito al di sotto è invece collocata una Madonna con Bambino: rilievo che l’osservazione ravvicinata ha rivelato essere in gesso (o stucco) dipinto, anziché in terracotta come precedentemente supposto. Proveniente dal soppresso Oratorio di Santa Lucia dei Ricucchi, l’opera fu donata a San Rocco nel 1793 dall’allora arcivescovo di Pisa Angelo Franceschi, e ripropone un celebre prototipo marmoreo quattrocentesco di Benedetto da Maiano custodito alla National Gallery di Washington, DC.
Tutta l’area presbiteriale fu manomessa e restaurata nel 1855, come ricorda ancora una volta un’iscrizione posta su uno dei pennacchi della volta nel catino. Ai lati dell’abside due edicole mistilinee a parete sono sormontate da rilievi a stucco dorato contornati da una cornice con testa di cherubino, rispettivamente rappresentanti un’Orazione nell’orto (sinistra) e un Riposo dalla fuga in Egitto (destra), mentre sulla parete sinistra (con spalle all’ingresso), subito prima della cappella, è affisso in una cornice ovale un tessuto dipinto, di aspetto settecentesco, forse uno stendardo, con la figura di San Rocco. Infine, sulla parete a destra dell’ingresso due nicchie ospitano lacerti di pitture ormai quasi illeggibili, databili tra il XII e il XIV secolo e certamente pertinenti alla preesistente chiesa di San Pietro in Cortevecchia.
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