Prima di essere associato alla disfatta alla Meloria, nel 1284, il 6 agosto, giorno consacrato a San Sisto, era legato nella storia pisana a numerose battaglie dagli esiti gloriosi: Reggio Calabria nel 1005, Palermo nel 1064 e Genova nel 1072. Proprio dopo la vittoria riportata in questa data nel 1087 sull’emporio tunisino di al-Mahdīya e sul sobborgo di Zawīla (non nel 1070, come vorrebbe una tradizione locale assai diffusa), i pisani decisero di erigere una chiesa intitolata al santo. La nuova costruzione fu celebrata esplicitamente anche nel Carmen in victoria Pisanorum: «Sancto Sisto consecrarunt perpulchram ecclesiam» (‘[i pisani] consacrarono a san Sisto una chiesa molto bella’).
La sede prescelta aveva una chiara connotazione politica, giacché, come hanno confermato anche di recente gli scavi nell’area, la Cortevecchia, dove già sorgeva la chiesa di San Pietro, era stata una sede politico-amministrativa importante del potere locale. Due atti, uno del 1094 e l’altro del 1111, testimoniano l’avanzamento rapido dei lavori di costruzione, tanto che all’interno dell’edificio, già nel 1110, poterono essere firmati i documenti attraverso cui i signori di Ripafratta divennero cittadini pisani. La sua consacrazione fu celebrata quindi nel 1133, al tempo dell’arcivescovo Uberto, ma anche prima di questa data la chiesa, che sottostava al giuspatronato dei reggitori del Comune (la cui sede sarebbe stata istituita dai consoli pisani presso la chiesa di Sant’Ambrogio in Castelletto circa un trentennio più tardi), si stava configurando sempre più come centro civico, oltre che religioso, in quanto sede delle riunioni del consiglio cittadino. L’assurgere nella seconda metà del Duecento di Piazza delle Sette Vie (futura Piazza dei Cavalieri) quale nuovo polo del Comune determinò la graduale perdita di importanza di San Sisto, la quale comunque non mancò di ricevere attenzioni anche in età moderna.
Di alcuni restauri si hanno notizie nel 1466 e, dopo che allo scadere del Cinquecento la chiesa era stata usata dall’Ordine di Santo Stefano in attesa del completamento della sua chiesa conventuale, nel 1603, quando fu rifatto il tetto. Nel 1716 l’edificio sacro venne concesso all’ordine carmelitano. Nel 1786 l’architetto Giovanni Andreini diresse una serie di interventi che interessarono particolarmente gli interni, con l’aggiunta di decorazioni a stucco e di una volta a botte che sostituì il soffitto ligneo. Tre anni più tardi, nel 1789, San Sisto fu riconsacrata. Le novità introdotte da Andreini durarono però poco più di un secolo e mezzo: tra il 1929 e il 1939, Oreste Zocchi, sotto la direzione di don Alessandro Morgantini, le rimosse con l’intento di riportare la chiesa alle sue origini medievali, cancellando ogni traccia di modernità. L’intervento seguì altre operazioni di aggiornamento in chiave neo-gotica promosse nell’area, tra le quali l’apertura di una quadrifora nella facciata del Palazzo dell’Orologio, avvenuta all’inizio degli anni Venti.
L’aspetto attuale di San Sisto, tanto all’esterno quanto all’interno, è profondamente condizionato dal restauro novecentesco, che lascia comunque cogliere alcuni degli originari aspetti romanici. La facciata è a salienti, sobriamente scandita da due lesene, e i tre accessi sono racchiusi tra due pilastri angolari. Arcatelle pensili cieche corrono ritmicamente sul prospetto dell’edificio e lungo tutta la fiancata. Negli spazi vuoti tra l’una e l’altra erano inseriti i bacini ceramici di manifattura araba attualmente conservati nel Museo Nazionale di San Matteo di Pisa, sostituiti da copie in situ. La grande bifora che si apre nel registro superiore della facciata risale all’intervento di Zocchi. La torre campanaria, a base quadrata, è alleggerita da monofore e la sua superficie è articolata da arcatelle cieche; la cuspide è stata aggiunta con il restauro del XV secolo. Ulteriori restauri hanno interessato la torre nel XVIII secolo.
Il tempio è a pianta longitudinale, divisa in tre navate. Molti dei capitelli, che poggiano su colonne di granito e marmo cipollino, sono di reimpiego. L’altare maggiore, scolpito nel 1730 dalla bottega di Giuseppe Vaccà per la chiesa di San Rocco e lì ancora descritto nel 1751 da Pandolfo Titi («le statue dell’altar maggiore, stato recentemente rifatto, sono della scuola del Vaccà carrarese»), fu trasportato in San Sisto solo nel 1786. Ai lati di una mensa ornata da volute e sovrastata da colonne tortili e cherubini, si ergono le figure allegoriche della Fede e della Carità. La recinzione presbiteriale marmorea proviene dalla chiesa di San Felice. Tra le opere di maggior rilevanza citiamo, nella navata destra, una tela del genovese Giovan Battista Paggi (firmata e datata 1590), realizzata nel periodo di esilio fiorentino del pittore e inviata a Pisa, raffigurante lo Sposalizio mistico di santa Caterina d’Alessandria. L’opera documenta l’affacciarsi di elementi tardomanieristi fiorentini nel sostrato genovese e veneziano della prima attività del Paggi. Proseguendo nella navata, notevole per le dimensioni è la copia del Volto Santo lucchese, fatta eseguire nel 1370 dal priore Francesco per la chiesa di San Sisto, poi spostata in San Rocco nel 1786 e riportata nella sua sede originaria recentemente. Nell’altare sul fondo della navata è collocata la cosiddetta Madonna della Purità, una tavola che per stile e iconografia (si tratta di una Madonna del cardellino) sembra derivare da opere pisane di Memmo di Filippuccio o del Maestro di San Torpè, presentandosi come un’attestazione di quel ‘protogiottismo’ ben diffuso in Toscana tra Pisa, Pistoia, Lucca tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento. Nella navata sinistra è importante segnalare la tela con la Predica di san Giovanni Battista, opera del senese Rutilio Manetti datata 1603, giunta a Pisa dalla Compagnia di San Giovannino in Pantaneto a Siena e collocata in origine nella chiesa di San Giovanni in Spazzavento.
Diverse fonti della periegetica pisana, tra cui Alessandro da Morrona e Augusto Bellini Pietri, testimoniano come tre specchiature istoriate raffiguranti le Storie di san Sisto, verosimilmente componenti di un pulpito, tra il diciannovesimo secolo e almeno la prima metà del Novecento si trovassero smontate e collocate arbitrariamente nella controfacciata della chiesa (oggi occupata da relitti navali), mentre una quarta, con la Crocifissione, era murata nella facciata dell’edificio (e si riconosce ancora in incisioni ottocentesche). Le quattro lastre quadrangolari, opera pisana del primo Trecento, sono tuttora ricoverate nella sala di scultura medievale del Museo Nazionale di San Matteo di Pisa.
Iscriviti alla newsletter di Piazza dei Cavalieri
e resta aggiornato sui progressi e sulle novità del progetto.