Già prima di assumere una facies moderna all’inizio del Seicento, le due fabbriche medievali, ovvero il Palazzo del Capitano del Popolo e la diruta Torre della Fame, da cui sarebbe stato composto il Palazzo dell’Orologio, erano state acquistate da Cosimo de’ Medici per diventare l’infermeria dell’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano: funzione che mantenne per circa un secolo, con il nome di Palazzo del Buonomo, perdendola progressivamente allo scadere del Seicento, quando i suoi ambienti iniziarono ad essere adoperati come alloggi da alcuni membri insigni della Religione. Nello stesso momento l’istallazione dell’orologio determinò l’affermarsi per l’edificio di un nuovo appellativo, ancora in uso.
Alcune preziose testimonianza grafiche di Giovanni Michele Piazzini, realizzate nel 1754, ovvero poco prima dell’avvio di una nuova campagna di lavori al suo interno, conferma questa destinazione residenziale, favorita dalla presenza già tardo-cinquecentesca di un pozzo nel seminterrato nella sua ala destra, a cui faceva eco nella sinistra un ampio locale con la «cantina del gran conservatore», carica a cui era destinato anche un intero quartiere nel mezzanino tra il piano terra e il primo piano. Munito di due ingressi principali su Piazza dei Cavalieri (che corrispondono ancora oggi rispettivamente all’ingresso della Biblioteca della Scuola Normale e all’accesso nell’ambiente in cui sono visibili i resti della Torre della Fame, occasionalmente adoperato dall’istituzione come spazio espositivo), il composito palazzo ospitava al piano terra una rimessa per la legna del «monsignor priore» di Santo Stefano e una guardaroba (a sinistra); una stalla, a cui si poteva accedere direttamente da Via dei Martiri, con annessa stanza per la paglia (a destra), accanto a due stanze destinate a due cavalieri e a un giardinetto. Di questo e della stalla ‘godeva’ «il signor conte [Marcolino] Fiorini» (1714-1788), un cavaliere di Santo Stefano forlivese, appena quarantenne, al quale spettavano alcuni ambienti anche nel soprastante mezzanino a destra. Dal sottoscala al mezzanino poi diversi spazi erano riservati al «commissario»: a sinistra dopo l’ingresso, uno scrittoio (forse prevedendo un accesso semipubblico); a destra, su tutti e tre i livelli, alcune stanze (probabilmente per una sua fruizione privata).
Ad esclusione di due aule comuni sovrapposte, con affaccio sulla Piazza, corrispondenti (al livello inferiore) all’ampia sala della Biblioteca dove oggi si trova la quadrifora neogotica e (al livello superiore) all’ambiente che immette ancora nella «stanza dell’oriolo», il primo e il secondo piano erano destinati esclusivamente ad alloggi privati, composti talvolta da spazi non collegati tra loro (senza scale dirette di accesso, su livelli diversi, in entrambe le ali) e occupati da cavalieri non necessariamente anziani, ma di certo benemeriti. Tra questi il patrizio aretino e perugino Aurelio degli Azzi (1727-1798) che, come ricordava la sua lapide, aveva militato per «anni 25 navigando sulle galere del sacro militare Ordine di Santo Stefano ed i suoi segnalati e pericolosi servigi furono riconosciuti e remunerati dal granduca Leopoldo I», forse con un’allusione anche alla possibilità per lui di soggiornare in quello che doveva essere una delle sistemazioni più prestigiose del Palazzo: in due ampie stanze adiacenti, al piano nobile dell’ala destra, con affaccio sulla Piazza.
Nel 1754 non tutte le stanze risultavano occupate. Al secondo piano vari ambienti erano stati riassegnati da poco o figuravano come del tutto disabitati. Quale fosse lo stato dello stabile quando, dopo la prima abolizione dell’Ordine (1808), venne annesso dai francesi al Demanio non è noto. Di certo però di lì a poco la sua parcellizzazione e vendita (per due terzi fu destinato a privati e per un terzo all’Opera del Duomo), così come i suoi rapidi passaggi di mano ottocenteschi non permisero, come in altri edifici sulla Piazza, di preservare all’interno della sua ala sinistra traccia delle strutture medievali originali. Tra i proprietari si annoverano Alessandro Sproni, che acquisì una parte nel 1811 e l’altra nel 1816, e il cav. [Piero] Finocchietti, almeno dal 1847, quando concesse all’architetto Tito Della Santa l’autorizzazione per prendere la pianta del palazzo e disegnarne lo spaccato, alla ricerca della Torre della Fame, su commissione del dantista Lord George John Warren Vernon. In quel momento, l’edificio affacciava, nel suo lato verso il Palazzo della Carovana, sull’«orto del signor prof.re [Giovanni] Rosini», docente e celebre letterato pisano.
Infine, dopo alcuni passaggi di eredità, il conte Eugenio Finocchietti vendette il Palazzo dell’Orologio al conte Alberto della Gherardesca (1919), che in memoria dell’avo Ugolino, cercò di valorizzarne il passato con arredi in stile neogotico ancora visibili al suo interno. Alle soglie del centenario dantesco, il non sempre facile dialogo con il soprintendente Peleo Bacci, tra entusiasmi neo-medievali e cautele finanziarie post-belliche, portò all’apertura della quadrifora, ma senza avviare né in facciata né all’interno gli interventi necessari alla piena riscoperta storica dell’immobile. Sarà solo con il definitivo passaggio di proprietà alla Scuola Normale nel 1970 che prenderà avvio un radicale restauro conservativo del Palazzo dell’Orologio, nel quale saranno riportati in luce i resti della Torre della Fame e al termine del quale l’edificio divenne la nuova sede della Biblioteca dell’istituzione.
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