Nel 2010 la Scuola Normale Superiore ha celebrato il suo bicentenario di esistenza ed è stata avvertita per l’occasione, dall’allora direttore Fabio Beltram, la necessità di un rinnovamento della sua immagine che coinvolgesse anche gli spazi illustri del Palazzo della Carovana. La maggiore iniziativa in questo senso ha riguardato l’inserimento in ambienti comuni del Palazzo di opere d’arte contemporanea.
L’interlocutore istituzionale di questa iniziativa è stato il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato, la maggiore realtà della Toscana (e tra le principali in Italia) per l’esposizione e lo studio delle opere d’arte realizzate dagli artisti del presente. Inaugurato nel 1988 il Centro Pecci ha svolto una politica sull’arte contemporanea (fatta di proposte espositive, di acquisizione di opere e di nuclei archivistici) di apertura convintamente internazionale. Le sue collezioni testimoniano bene lo svolgimento delle ricerche artistiche dagli anni Sessanta in avanti: nei vari passaggi dall’arte povera, processuale e concettuale al recupero dei media tradizionali nella postmodernità; dal dialogo tra le tecniche pittoriche e scultoree con quelle della fotografia e della computer art sino agli orizzonti più recenti dell’arte globalizzata, con una attenzione particolare rivolta alla produzione artistica dei paesi dell’est europeo.
A partire dal 2012 sono stati individuati alcuni luoghi nel Palazzo della Carovana che potessero accogliere alcune opere del Pecci: accanto agli ambienti più grandi e illustri (il corridoio del secondo piano con le adiacenti Sala Azzurra e Sala del Gran Priore, il corridoio della Direzione, lo scalone che conduce al terzo piano e l’adiacente parete a fianco della Sala degli Stemmi) si sono scelti anche luoghi minori, di transito: la nicchia che apre alla chiostra del primo piano, alcuni ambienti di accesso, le stanze della segreteria della Direzione, il ballatoio del terzo piano. La presenza delle opere d’arte contemporanea non ha voluto solo sottolineare il carattere monumentale dell’architettura vasariana, e con esso dialogare, ma anche inserire un segnale nei luoghi del passaggio e del lavoro quotidiano di studenti, professori e personale della Scuola. L’intento non era quello di creare una ‘installazione’ permanente. Ogni due anni era prevista una rotazione di opere: molte sarebbero tornate alla casa madre, il Pecci di Prato, e ne sarebbero giunte altre di nuove. Questo è puntualmente avvenuto: nel 2014, nel 2016, nel 2018, nel 2021 nuovi quadri, nuove grafiche, nuove sculture, nuove installazioni hanno accolto i visitatori degli spazi della Carovana: resistono dal 2012, con l’imponente fuoco prospettico che creano, le due pareti del corridoio della Direzione con i fogli del Journal de terres et d’humeur di Anne e Patrick Poirier, un’opera tanto bene ambientata che sembra una installazione site specific e che è ormai diventata parte integrante dell’iconografia della Scuola. E non si sono mosse le opere (di Svetlana Kopystiansky, Eugenio Miccini e Mauro Staccioli) collocate in Sala Azzurra, stabilmente al loro posto nelle librerie che ospitano l’Archivio Salviati. Per tutte le altre opere, ogni biennio la scommessa è stata quella di far dialogare in modo parlante uno spazio illustre e antico con un’opera di oggi.
Il significato di questa operazione è duplice. In primo luogo le opere degli artisti contemporanei invitano a riconsiderare in modo inaspettato il contenitore storico del Palazzo della Carovana. Proprio dove l’artista contemporaneo sembra sottolineare la continuità ambientale, culturale, addirittura materiale con i modelli e i linguaggi della tradizione se ne coglie la frattura; e tenere conto di questa frattura permette oggi di leggere il passato con occhio più attrezzato.
In secondo luogo queste opere hanno la funzione di richiamare una speciale attenzione alla materialità del ‘manufatto’: in un’epoca, la nostra, di costante dematerializzazione delle immagini cui il web ci abitua. Le opere d’arte di oggi vivono, non meno di quelle del passato, della loro realtà fisica, oggettuale e basta avvicinare loro lo sguardo per avvertirne la complessità e la ricchezza. In questa complessità, e nel portato di domande che suscita, è possibile riconoscere un non trascurabile valore civile delle opere d’arte contemporanea: che motiva la loro presenza negli spazi di transito e di lavoro della Scuola Normale.
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