L’iscrizione in oggetto è una dedica di dimensioni monumentali apposta al pavimento di una piazza triangolare, subito a sud-ovest dell’agorà ellenistica. Le lastre in calcarenite su cui l’iscrizione era incisa coprivano un canale di fogna che appunto usciva dall’agorà e correva in mezzo alla piazza triangolare. La monumentalità della dedica può essere colta dalle dimensioni di scrittura: le lettere sono alte 13-14 cm circa e coprivano in lungo uno spazio di più di 10 m. Anche se non si ha la certezza assoluta che tutte le lastre facciano parte della medesima iscrizione, perché solo una di esse è stata trovata in situ nel pavimento della piazza, la forma delle lettere, le dimensioni e il senso complessivo sono assolutamente a favore di un’interpretazione d’insieme di tutte queste testimonianze.
Viste le dimensioni dell’iscrizione, nel Palazzo della Carovana, al primo piano, sul lato sinistro del corridoio che conduce dagli studi dei docenti della Classe di Lettere e Filosofia alle aule didattiche, sono presenti tre calchi, ciascuno dei quali ne riproduce solo una parte, limitata alle lastre integre. I frammenti delle lastre non preservate non sono invece riprodotti tramite calco.
Com’è tipico dell’epigrafia latina, rispetto a quella greca, l’iscrizione presenta molte abbreviazioni. Il testo che è stato ricostruito è il seguente:
M(arcus et) M(arcus) A[– – M(arci)] f(ilii) Onasus et Sopolis e[– –] [– –]e forum s(ua) p(ecunia) ste[rnendum curaverunt]
«I due Marco A[– –], figli [di Marco], Onasus e Sopolis – – – la pavimentazione della piazza a loro spese [curarono]».
L’iscrizione si colloca nella nutrita serie segestana di dediche di lavori pubblici. Onasus e Sopolis si erano evidentemente occupati, con propri fondi, del completamento della piazza triangolare e forse di altri lavori che venivano elencati prima di «forum». Nei frammenti delle lastre, non riprodotti nei calchi, la stringa di lettere ṂẠ è stata ipoteticamente interpretata come ma[cellum], cioè quella parte delle strutture mercatali romane dove veniva venduta la carne e il pesce. Questa ipotesi è suggerita dal fatto che vicino alla piazza è presente un edificio a tholos, cioè un edificio costituito di un porticato circolare e coperto da una cupola: le tholos sono molto spesso presenti nei macella.
I due committenti erano strettamente imparentati, in quanto portatori dello stesso praenomen (Marcus) e nomen (A[…]): molto probabilmente si trattava di padre (Onasus) e figlio (Sopolis). Il nomen, non preservato se non per la sua iniziale, potrebbe essere ad esempio Antonius (molto diffuso in Sicilia dopo che Marco Antonio concesse la cittadinanza romana agli isolani nel 44 a.C.), o Aemilius, Aquillius etc. Le formule onomastiche sono completate da un terzo nome, quello con cui i due personaggi erano identificati e che in entrambi i casi è di origine greca. Ciò non stupisce affatto in un contesto di progressiva romanizzazione di élites comunque greche e grecofone, che pure scelgono di usare il latino nelle loro dediche per mostrare il loro livello di adesione al potere romano.
Il nome Onasus è molto rinomato a Segesta: si chiamava infatti Onasus il notabile segestano («vir primarius, homo nobilissimus») che Cicerone fece testimoniare, tra gli altri, a Roma nel 70 a.C. nel processo contro Verre (Cic. Verr., II, 5, 120). In tutta la Sicilia occidentale, compresa Segesta, sono inoltre molto diffuse delle tegole bollate Ὀνάσου, con il nome a rimarcare l’officina di provenienza di questi oggetti. Questa officina è stata localizzata a Partinico grazie ai ritrovamenti archeologici, ma riforniva molte comunità della zona, tra cui Segesta stessa, dove le tegole sono state trovate ad esempio nel contesto dell’agorà.
L’Onasus dell’iscrizione doveva quindi far parte di questa famiglia facoltosa, probabilmente di Segesta stessa, proprietaria delle fornaci a Partinico; e doveva probabilmente essere un discendente dell’Onasus menzionato da Cicerone, dato che la sistemazione della piazza triangolare risale all’età augustea, circa mezzo secolo dopo il processo contro Verre. Anche Sopolis ha una certa ricorrenza a Segesta, anche se non sullo stesso piano di Onasus. Un Sopolis, ad esempio, dedicò la statua della madre nel teatro cittadino (ISegesta G7b), mentre diversi individui presentano come proprio terzo nome Sopolianos, probabilmente un gentilizio legato al nome Sopolis stesso (vedi ISegesta G4 e G10). Era quindi un nome evocativo per le élites di Segesta.
A livello paleografico, quest’iscrizione è un ottimo esempio di scrittura in caratteri latini di età augustea. Le lettere sono regolari, ben distanziate, con una tenue apicatura. Il segno d’interpunzione, di forma triangolare, è inciso in profondità, in genere con un vertice rivolto verso l’alto, ed è usato per separare una parola dall’altra. È d’obbligo notare che il segno d’interpunzione non sembra essere impiegato in modo uniforme nella parte conclusiva dell’epigrafe, anche se la sua presenza può essere stata obliterata dall’alto grado di usura della superficie scrittoria.
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