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La decorazione a graffito della facciata del Palazzo della Carovana, eseguita nel Cinquecento e profondamente rimaneggiata nei secoli successivi, affronta quattro temi che corrispondono ad altrettanti piani dell’edificio.
Tra le finestre del piano terra campeggiano otto segni zodiacali entro cartelle circondate da grottesche, identificabili oggi con lo Scorpione, il Leone, il Toro, i Gemelli, la Bilancia, il Sagittario, i Pesci e l’Ariete, forse manipolati nella loro iconografia durante un restauro moderno e di certo scelti originariamente per alludere a eventi della biografia di Cosimo I de’ Medici, committente del rinnovamento del palazzo, connessi al governo di Pisa.
Il primo piano è dedicato alle Arti Liberali, che sono al contempo attributi del buon cavaliere e discipline coltivate grazie alla magnanimità del duca.
A partire da sinistra, poste entro ottagoni sempre circondati da grottesche, vediamo la Filosofia con lo scettro e lo scudo dei Cavalieri, la Pittura con il pennello e la tavolozza, la Musica – di spalle – con il flauto e la siringa, la Poesia con la lira e un rotolo con i versi, la Geometria (o Architettura) con il compasso e la squadra, infine la Retorica con lo scudo e la face. Le Arti occupano sei campi e si alternano a una mezza figura femminile alata che reca fiori nelle mani, identificata con la Logica.
Il secondo piano, o piano nobile, è invece dedicato al duca e alle sue azioni di governo nel territorio pisano. Sei Divinità si alternano a tre metafore figurate care a Cosimo – le cosiddette ‘imprese’ –, sorrette da semifigure alate. Gli dei raffigurati sono: Plutone, che allude alle cave di San Giuliano, Seravezza e Pietrasanta, fortemente sfruttate dal duca; Minerva, in riferimento al potenziamento dello Studio pisano (l’università cittadina); Marte, evocativo della difesa delle coste da parte dei Cavalieri; Ercole fanciullo che strozza i serpenti, in ricordo dell’opera di bonifica nei dintorni di Pisa; Venere, che allude genericamente alla fertilità e all’abbondanza portati da Cosimo nel contado e specificatamente alla fondazione del Giardino dei Semplici (1543), uno dei primi orti botanici d’Europa; infine Nettuno, che richiama il dominio dei mari da parte dell’ordine.
Le tre imprese, descritte dallo storico Paolo Giovio nel Dialogo dell’imprese militari e amorose del 1555 e dallo stesso Vasari nei Ragionamenti del 1588, hanno molteplici livelli di significato. Il falcone che stringe tra gli artigli l’anello – qui sostituito dallo scudo di Santo Stefano – è simbolo di longevità e continuità: già emblema personale di Piero il Gottoso, avo di Cosimo, poi adottato dai due papi di casa Medici, Leone X e Clemente VII, è usualmente associato al motto «semper». La tartaruga con la vela ha un significato apparentemente contraddittorio: allude infatti alla prontezza ma anche alla prudenza delle decisioni del sovrano, tanto da essere associata all’espressione «festina lente» (‘affrettati lentamente’). La terza impresa è il Capricorno con la relativa costellazione: stando alle fonti si tratta dell’ascendente di Cosimo I – nonché segno sotto il quale cade la sua data di elezione a duca –, condiviso con Augusto e Carlo V. L’emblema fu elaborato dallo stesso Giovio per assimilare il duca ai due imperatori, associandogli il motto latino «fidem fati virtute sequemur» (‘perseguiremo con la virtù ciò che promette il destino’).
L’iconografia dell’ultimo piano è più difficile da decifrare, anche a causa di uno stato conservativo non ottimale. In sei delle dodici fasce verticali, ai lati delle finestre e dei sottostanti busti granducali, sono state riconosciute le rappresentazioni di altrettante Virtù, poste entro ovali sorretti da coppie di satiresse o mascheroni di profilo e sormontati da due putti che tengono la lira. Sono la Prudenza con il capo coronato di gelso e nelle mani il serpente e lo specchio (due attributi oggi poco visibili), la Temperanza che mescola acqua e vino, la Fortezza con una lancia e un ramo di quercia, la Fama con la tromba, la Giustizia con la spada e la bilancia (quest’ultima quasi del tutto perduta), e infine la Carità con un bambino e una face. Questa virtù coincide, peraltro, con l’iconografia medievale di Pisa.
Si trattò di mutamento significativo rispetto al programma iconografico originario, che prevedeva entro gli ovali le raffigurazioni dei santi venerati dai principali ordini cavallereschi in dialogo con le effigi dei fondatori degli ordini, previste negli spazi dove ora si trovano i busti dei granduchi.
Le altre sei fasce verticali presentano al centro delle ‘cartelle’ entro cui sembrerebbero raffigurate Divinità fluviali (almeno a giudicare dalle poche tracce sopravvissute sul lato destro della facciata); al di sopra vi sono un cherubino e una coppia di angioletti che sorreggono un vaso, e al di sotto una figura femminile con le braccia conserte e il corpo a terminazione fitomorfa.
Sotto le finestre, entro cornici modanate che terminano con coppie di ignudi, in parte umani in parte demoniaci, sono raffigurate trofei (o panoplie) – armi, scudi e armature –, sopra i quali pendono ricche ghirlande.
Oltre a queste raffigurazioni principali tutti gli altri campi della facciata sono occupati da festoni, stemmi e motivi a grottesca (figurazioni immaginarie con forme semivegetali, animali o umane organizzate in composizioni bizzarre), come i busti femminili alati sotto le finestre del primo piano.
Il sottotetto presenta invece un’architettura con finte modanature in prospettiva, mascheroni e trofei.
Giovio 1555, pp. 5 (per un’impresa simile a quella della tartaruga con la vela), 44-45 (per l’impresa del falcone), 52-53 (per quella del Capricorno); Vasari 1588, pp. 13 (per l’impresa del falcone), 57 (per quella della tartaruga con la vela); Frey 1923-1940, II, 1930, p. 135-137; III, 1940, p. 96 (per il progetto iconografico dei fondatori); Salmi 1932, pp. 23-28; Thiem 1964, pp. 100-102; Karwacka Codini 1989, pp. 73-89; Conforti 1993, p. 196 (per il significato delle divinità antiche); Satkowski 1993, p. 71; Karwacka Codini 1996, pp. 36-39; Barocchi 2000; Vasari 2000
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