I busti marmorei sulla facciata del Palazzo della Carovana costituiscono una vera e propria galleria di effigi dei granduchi di Toscana e gran maestri dell’Ordine di Santo Stefano tra la metà del Cinquecento e il primo quarto del Settecento.
L’impresa decorativa è generalmente ascritta alla volontà di Ferdinando I de’ Medici che, forte di una dinastia ormai consolidata, avrebbe dato inizio alla serie, ordinando il busto del padre Cosimo I e poi, a stretto giro, quello del fratello Francesco I e il proprio. A ben guardare rimane aperta anche la possibilità che la scelta di eseguire i busti sia attribuibile a Francesco I: il primo documento riguardante la serie si data infatti all’aprile del 1588, ma non è chiaro se sia stato stilato seguendo il calendario fiorentino o pisano. Il sistema fiorentino calcolava l’inizio dell’anno in ritardo di due mesi e 25 giorni rispetto all’odierno, mentre quello pisano lo anticipava di nove mesi e sette giorni. Nella prima ipotesi la decisione venne presa nell’aprile del 1587, sette mesi prima della morte di Francesco, che mancò improvvisamente lasciando il granducato nelle mani del fratello Ferdinando. Si tratterebbe ad ogni modo dell’unica iniziativa artistica autonoma del secondo granduca di Toscana in Piazza dei Cavalieri: circostanza che, di fatto, rende più plausibile l’ipotesi di un progetto di Ferdinando. I suoi successori, quindi, portarono avanti la tradizione omaggiando i loro diretti predecessori. Fu infatti Gian Gastone de’ Medici a commissionare l’ultimo busto, quello di Cosimo III (1642-1723).
I ritratti presero posto sulla facciata a partire del centro, uno a destra e uno a sinistra dello stemma mediceo stefaniano, ripetendo l’alternanza fino a riempire lo spazio disponibile.
In origine, sotto Cosimo de’ Medici, si valutò se inserire, lungo la fascia tra le finestre del secondo e del terzo piano, dapprima teste di imperatori e poi le effigi dei fondatori dei più importanti ordini cavallereschi: i Cavalieri di Malta, la Milizia di Nostro Signore Gesù Cristo, gli Ordini di San Giacomo, di Alcántara, di Calatrava e (appunto) di Santo Stefano. Le teste dovevano essere collocate sotto sei delle dodici finestre, alternandosi a iscrizioni, mentre negli ovati dove oggi sono le Virtù a graffito Giorgio Vasari pensava di raffigurare i santi venerati dagli ordini in questione. Come si evince dalla corrispondenza dell’artista il progetto dovette essere accantonato per problemi tecnici: non era stato possibile ritracciare fonti visive e letterarie adeguate che dessero un’idea dell’aspetto dei fondatori, ad eccezione ovviamente dello stesso Cosimo, di Goffredo di Buglione (Cavalieri di Rodi) e di Alfonso di Castiglia (Ordine di San Giacomo). Non è chiaro, a mio giudizio, se la galleria dei fondatori dovesse essere graffita o scolpita: le lettere vasariane sono ambigue in questo senso, pur lasciando propendere per la seconda ipotesi. A ogni modo il programma cambiò e non sappiamo se prima dell’iniziativa di Ferdinando I i riquadri dove ora si trovano i ritratti marmorei dei granduchi fossero privi di decorazione.
I busti e le nicchie che li ospitano, esposti agli agenti atmosferici, al guano e alle polveri sottili, sono stati oggetto di almeno due restauri moderni: nei primi anni Novanta e nel 2008.
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