Le libertà comunali del XI e XII secolo non erano una prerogativa pisana: negli stessi anni sorgevano autorità popolari anche in altre realtà municipali dell’Italia settentrionale come Milano, Cremona, Piacenza e Asti. Le prime attestazioni dell’autogoverno della città toscana risultano dunque in linea con un processo diffuso e sono contenute in due documenti. Il primo è il cosiddetto lodo delle torri: databile tra il 1089 e il 1092 e redatto su impulso del vescovo (arcivescovo dal 1092) Daiberto. Qui si menziona per la prima volta un commune colloquium civitatis (un’assemblea cittadina) dotata di poteri esecutivi – della volontà di Daiberto stesso – e in parte giudiziari. Il secondo documento è il lodo di Valdiserchio datato tra il 25 marzo 1091 e il 24 marzo 1092. In esso si confermano le prerogative ‘esecutive’ del populus pisano. In tale configurazione istituzionale, il vescovo si candidava ad essere il punto di equilibrio (come scrive Alma Poloni) all’interno di un corpo sociale lacerato tra oppositori e sostenitori dell’impero (e dell’imperatore dell’epoca, Enrico IV). Questa cornice politica garantì, come in altre realtà comunali, la stabilizzazione di un’altra magistratura di grande importanza: il consolato. Esso consisteva in un collegio di magistrati eletti che si occupava di giustizia amministrativa, politica estera e governo militare, generalmente partecipato dalle famiglie dell’aristocrazia locale. Nel primo decennio del 1200 il consolato, come organo collegiale, viene sostituito dalla figura monocratica del Podestà, inizialmente selezionato tra le figure più in vista della città per poi privilegiare personalità estranee alla vita comunale. La polarizzazione della vita politica del comune a partire dal tardo XII secolo e per tutto il XIII (ancorata alle due fazioni capeggiate dalle famiglie più potenti: i Visconti e i Gherardesca) condusse a una disaffezione delle masse popolari per la res publica: l’assemblea popolare del commune colloquium civitatis fu nei fatti sostituita da un collegio ristretto composto da esponenti delle classi superiori e un collegio più ampio, che affiancava, attraverso otto rettori, il podestà nelle sue funzioni di governo.
Dopo la morte dell’imperatore Federico II (1250), che aveva promosso un’ampia riforma degli assetti istituzionali toscani salvaguardando tuttavia i privilegi di Pisa, riprende la profonda conflittualità tra le fazioni aristocratiche. Durante i negoziati di pace a seguito della guerra con Firenze, nell’agosto del 1254, fanno la prima comparsa nei documenti ufficiali gli Anziani del Popolo, una nuova magistratura collegiale, e il Capitano del Popolo, che si affianca al potere podestarile. In questa nuova realtà politica, l’assemblea legislativa era composta da una doppia struttura: da un lato il consiglio del senato e il consiglio della ‘credenza’ (entrambi convocati dal podestà), mentre dall’altro vi era il consiglio del popolo (convocato al contrario dal capitano del popolo). Se ai primi due era affidato il compito di proporre leggi, a quest’ultimo spettava la decisione sulla ratifica. In tale fase, che perdurerà, pur con ampie oscillazioni, fino alla conquista fiorentina del 1406, il potere dell’élite nobiliare si ridusse notevolmente: questa aveva accesso al consiglio del senato e della ‘credenza’, ma era esclusa dal consiglio del popolo, nonché dall’anzianato. Una delle infrazioni più rimarchevoli a tale situazione è tuttavia rappresentata proprio da uno degli episodi più icastici della storia della Pisa medievale: la diarchia venutasi a creare dal 1286 quando Ugolino della Gherardesca ricopre la funzione podestarile e il nipote Nino Visconti la carica di Capitano del Popolo, avviando quella spirale di crisi istituzionale che condurrà all’imprigionamento e alla morte del Conte.
Nonostante un quadro istituzionale in costante evoluzione e una continua conflittualità che attraversava – in modo anche drammatico – il corpo sociale, i secoli della libertà comunale coincisero con la fase di massimo splendore della città di Pisa: videro il fiorire delle sue arti, l’espansione dei suoi commerci su scala mediterranea e l’affermazione del suo potere politico. La presenza di un articolato sistema istituzionale fornì poi un poderoso impulso alla promozione di un vasto riassetto urbanistico che trasformò lentamente il cuore della civitas in un quartiere governativo che dall’attuale Piazzetta Luciano Lischi, già del Castelletto, giungeva sino a Piazza dei Cavalieri, sede del potere del Popolo e delle sue più importanti magistrature.
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