La fondazione della Scuola Normale Superiore rientra nella complessa operazione di riordino dell’istruzione pubblica e privata che Napoleone attuò sin dai tempi del consolato e poi con maggior lena durante l’impero, quando nel 1806 diede vita al sistema delle Università Imperiali. La Toscana, annessa alla Francia con il trattato di Fontainebleau (27 ottobre 1807), dovette conformarsi, anche in questo campo, al codice napoleonico. Con decreto imperiale del 18 ottobre 1810 si stabilì, nel circondario che riunisce i tre dipartimenti amministrativi in cui fu suddivisa la Toscana (Arno, Ombrone e Mediterraneo), la fondazione di un’Accademia dell’Università Imperiale, di cui Pisa divenne sede. Si previde altresì la fondazione di un Pensionato Accademico in sostituzione del Collegio della Sapienza mantenuto dai granduchi, per venticinque studenti universitari, sul modello della École normale di Parigi. La scelta della sede ricadde inizialmente sul convento di San Silvestro, discosto dal centro cittadino. Dopo un complesso esame d’ammissione, che prevedeva prove di latino, greco, algebra e geometria per i candidati di tutti i corsi, vennero ammessi i primi venticinque studenti che inaugurarono così le attività della Scuola nel novembre del 1813. L’istituzione era retta da un direttore, da un ‘sotto-direttore’, da un economo e da un ispettore (preposto ad attività di sorveglianza). Ulteriori compiti di sorveglianza erano attribuiti a un cappellano nominato dall’arcivescovo e ai cosiddetti ‘ripetitori’, cui venivano affidati anche impegni didattici.
L’etichetta quotidiana era scandita con rigore marziale: «Gli alunni si alzano alle sei nell’estate e alle sette nell’inverno e hanno un quarto d’ora per vestirsi, dopo di che vanno in cappella per le orazioni che devono durare non meno di venti e non più di trenta minuti. Quindi la colazione e le lezioni dalle otto e mezzo della mattina alle due e trenta pomeridiane. Dopo il pranzo è concessa mezz’ora di ricreazione e allo studio sono dedicate le restanti ore del pomeriggio, dalle quattro alle nove d’inverno e alle dieci d’estate. Infine la cena, mezz’ora di ricreazione e le preghiere in cappella, che non devono durare meno di otto né più di dodici minuti. Alle dieci nell’inverno e alle dieci e quarantacinque nell’estate gli studenti devono essere in camera poiché alle undici le luci vengono spente».
La fine drammatica della stagione napoleonica incise anche sui destini della Scuola Normale: il 9 novembre 1814 il granduca Ferdinando III di Lorena approvò una riforma del regolamento universitario che ripristinava gli antichi perimetri disciplinari. Il clima di piena restaurazione agì da un lato sugli insegnamenti (che avranno ora «per base la Religione Cattolica e la purità della sua morale, l’obbedienza al Sovrano, il rispetto delle Pubbliche Autorità, l’attaccamento alla gloria letteraria della Toscana»), dall’altro sulla ritualità della vita collegiale. Lo stesso Ordine dei Cavalieri venne ripristinato nel 1817, sebbene deprivato della componente militare, per assolvere a funzioni puramente educative. La Scuola Normale fu di fatto trasformata in un convitto per i giovani nobili toscani. Dal 1843 al 1846 si approntano le riforme necessarie per avviare il processo di trasformazione: nel Rapporto del 5 giugno 1846 e poi con il motuproprio granducale del 28 novembre si previde l’impiego del Palazzo della Carovana come sede per la nuova scuola e il mantenimento di dodici studenti a spese dell’istituzione (più ulteriori sei a pagamento). L’inaugurazione avviene il 15 novembre 1847.
In un clima pre- e post-quarantottesco, la Scuola Normale adottò una forte politica di chiusura e di freno delle tendenze liberali e nazionalistiche. Durante la fase di transizione dal Granducato al Regno d’Italia, passando per il governo provvisorio del 1859, l’istituzione nella nuova sede in Piazza dei Cavalieri proseguì le sue attività. Con l’Unità, tuttavia, fu necessario promuovere una serie di riforme in grado di accordarla alle recenti esigenze educative della nazione: attraverso il regio decreto del 17 agosto 1862 si passò così da una Scuola Normale granducale fortemente legata a una dimensione religiosa, a una italiana con una netta diminuzione delle connotazioni confessionali. Il regio decreto del 3 ottobre 1875 aprì l’accesso all’istruzione universitaria anche alle donne: la prima studentessa della Normale sarà Erminia Pittalunga, napoletana, ammessa al concorso di Lettere del 1889.
Durante il primo conflitto mondiale la Normale si trovò in notevoli difficoltà materiali (i locali impiegati per usi civili; molti studenti partiti per il fronte; ristrettezze di bilancio) e con attività di ricerca depotenziate. Fu invece, paradossalmente, con la salita al potere del regime fascista che l’istituto godette di nuovi fasti. Se da un lato, infatti, si vide fortemente limitata la propria vocazione intellettuale a seguito di imposizioni liberticide, dall’altra, grazie all’impegno profuso dal normalista (nonché direttore della Scuola dal 1932 al 1943) Giovanni Gentile, la Normale si impose sempre di più come un centro della vita culturale nazionale. Si procedette tra il 1929 e il 1932 anche all’ampliamento delle strutture con l’acquisizione del Collegio Puteano e del palazzetto di Domenico Timpano sito sul Lungarno (oggi) Pacinotti; e si ingrandì il Palazzo della Carovana ‘vasariano’, aggiungendo tre nuove ali alle sue spalle. La Normale gentiliana venne inaugurata il 10 dicembre 1932: accogliendo ora circa cento studenti e ampliando l’offerta didattica con il Collegio Medico-Giuridico, si trasformò in un’istituzione autonoma, anche se collegata all’università pisana. Grazie, tuttavia, allo sforzo e al sacrificio di molti studenti, di parte del personale docente e financo amministrativo, poté contare su un nutrito contingente di oppositori al regime. Tra i molti nomi si ricordano qui Aldo Capitini, Guido Calogero, Walter Binni, Antonio Russi, Alessandro Natta. Durante la Seconda Guerra Mondiale l’istituzione risentì prima del clima di forte restrizione ideologica e materiale e poi, con l’avanzata degli Alleati, vide il Palazzo della Carovana occupato, tra il 1944 e il settembre 1945, dalle truppe anglo-americane.
Con l’Italia repubblicana la Scuola Normale visse una nuova fase non priva tuttavia di turbamenti. Con la vittoria schiacciante della Democrazia Cristiana, il 18 aprile del 1948, si aprì uno scontro che convolse l’istituzione (e in generale il sistema educativo nazionale), ritenuti ostello di anticlericali. Nel decennio successivo si promosse tuttavia un suo rilancio congiunto, che vide così accrescerne il bilancio; si permise nuovamente l’ingresso alle studentesse (con l’apertura del collegio femminile nel maggio 1952, dopo la loro esclusione a seguito delle disposizioni gentiliane del 1929); si migliorò infine la qualità didattica. Nel 1967 la Scuola assorbì anche il cosiddetto ‘Palazzone’ di Cortona e iniziò la tradizione dei Concerti della Normale.
Gli anni che precedettero e diedero avvio ai movimenti studenteschi del ’68 videro la Normale in prima linea: da un lato divenne sede istituzionale di rilevanza nazionale (l’11 e il 12 febbraio 1967 si tenne qui la riunione dei Rettori italiani), ma anche di scontri interni tra dirigenza e allievi per una riforma degli statuti; dall’altro si propose come fucina di intelligenze in grado di promuovere e indirizzare le più ampie proteste studentesche cittadine e nazionali (nella stesura delle note Tesi della Sapienza vi fu un apporto fondamentale di studenti normalisti).
Gli ultimi anni hanno visto da un lato l’autonomizzazione della Scuola Sant’Anna (1987), che divenne così istituto ‘gemello’ della Normale; dall’altro l’apertura di una terza classe disciplinare (quella di Scienze politico-sociali) grazie alla fusione con l’Istituto Italiano di Scienze Umane con sede a Firenze, a partire dall’anno accademico 2014-2015.
Dal dopoguerra la Scuola Normale dell’età repubblicana ha formato non solo generazioni di studiosi e studiose di alto profilo scientifico, ma è stata anche in grado di promuovere uomini e donne che hanno servito ai vertici dello Stato: Presidenti della Repubblica, Presidenti del Consiglio, ministri, giudici della Corte costituzionale.
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