Vasari, Lapidazione di santo Stefano

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Giorgio Vasari

Lapidazione di santo Stefano

La tavola fu commissionata a Giorgio Vasari nel 1569 da Cosimo I de’ Medici, in risposta alle esigenze del Consiglio dell’Ordine stefaniano relative all’allestimento dell’area absidale della chiesa dei Cavalieri. Se infatti, in un primo momento, si era pensato di collocare sull’altare maggiore la Natività di Agnolo Bronzino, in corso d’opera si era invece valutato di sostituirla con un ciborio bronzeo fiancheggiato da statue. In vista della risistemazione della pala bronzinesca, comunque già realizzata, furono quindi allestite due edicole affrontate sulle pareti laterali dell’edificio, una delle quali avrebbe richiesto la messa in opera di un secondo quadro in pendant, che venne appunto allogato all’aretino, mentre le relative cornici lignee furono lavorate da Nigi della Neghittosa.

Il soggetto fu suggerito direttamente dal Medici, che anziché destinare il dipinto alla celebrazione del santo titolare della chiesa, ovvero papa Stefano I martire, decapitato il 2 agosto del 257 d.C., volle che esso venisse dedicato al diacono Stefano, protomartire cristiano morto per lapidazione intorno al 34 d.C. e scelto in quegli stessi anni anche per la dedicazione della cappella terrena nel complesso di tre sacelli sovrapposti voluti da papa Pio V in Vaticano, dove lo stesso Vasari si trovava coinvolto attivamente in contemporanea. La decisione cosimiana portò nell’immediato il Consiglio a chiedere ragguagli all’artista, ricordandogli «come in detta chiesa non ci è inmagine [sic], né memoria alcuna di santo Stefano papa e martire, al quale è intitolata essa chiesa della Religione, e fuori di questi dua altari e non ci resta se non l’altare maggiore dove sta collocato il santissimo sacramento». Posto il problema al granduca, Vasari rassicurò subito l’Ordine circa le disposizioni di quest’ultimo, che avrebbe inteso destinare a Stefano papa e martire «la capella maggiore [che] abbia a esser dipinta [nel]le facciate con la storia sua [di Stefano papa], overo duo statue di marmo che metteranno in mezzo il ciborio in sullo altare abbino a essere santo Stephano papa e martire e l’altra san Cosimo».

I molti lavori concomitanti, tra Firenze, Pisa, Roma e Bosco Marengo, resero inevitabilmente lunga la gestazione del dipinto, che si avviò con la preparazione dei disegni al principio del 1570 (due fogli connessi alla composizione sono stati individuati da Florian Härb e si trovano oggi in collezione privata) e si concluse solo il 26 dicembre 1571, giorno della festa di Santo Stefano protomartire, quando la tavola fu consegnata, valendo al pittore ben 2.300 scudi, corrispondenti alla cessione del podere di Passelli (o Passegli), in Valdarno, che egli aveva fino ad allora preso in affitto dall’Ordine.

Sul piano iconografico, se non vi sono dubbi circa la stretta correlazione, anche compositiva, dell’esemplare pisano con quello romano di stesso soggetto, lavorato sostanzialmente di pari passo, ben poco soccorre a chiarire il rapporto di relazione causale e temporale tra i due dipinti, sebbene il coinvolgimento di Vasari nella realizzazione di entrambi e la vicinanza diplomatica della corte medicea a quella di Ghislieri rendano piuttosto scontato escludere la coincidenza casuale. Di certo, Stefano papa e Stefano protomartire erano accomunati, oltre che dal nome, da ricorrenze agiografiche non prive di significato per Cosimo: il 2 agosto, giorno della morte del primo, coincideva infatti con le importanti vittorie medicee di Montemurlo (2 agosto 1537) e Scannagallo (2 agosto 1554), che per tradizione avrebbero determinato la scelta di questo santo come protettore dell’Ordine religioso-cavalleresco a lui intitolato, mentre il 3 agosto, data del ritrovamento delle reliquie del secondo, si era svolta, nel 1530, la battaglia di Gavignana, anch’essa tra i più rilevanti successi sul campo del casato mediceo contro gli oppositori.

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Taddeo Zuccari, Martirio di san Paolo, particolare, 1557-1558 ca. New York, The Metropolitan Museum of Art, inv. 1975.1.553
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Giorgio Vasari, Lapidazione di santo Stefano, particolare, 1571. Pisa, Santo Stefano dei Cavalieri

La scena rappresentata nell’esemplare pisano si concentra quasi tutta in primo piano, dove Stefano, vestito di una dalmatica diaconale moderna (forse proprio quella utilizzata dagli officianti nella stessa chiesa dei Cavalieri) si protende con le braccia a schermare le pietre che i suoi aguzzini stanno per scaraventargli addosso; tra questi, sulla sinistra, una figura di spalle fa eco, in controparte, all’analogo personaggio inserito da Taddeo Zuccari nella Decapitazione di san Paolo sulla volta della Cappella Frangipani in San Marcello al Corso, a Roma (1558-1566 circa; il disegno preparatorio si conserva al Metropolitan Museum di New York, inv. 1975.1.553). A destra è invece il giovane Saulo seduto, che, come narrano gli Atti degli apostoli, accolse ai suoi piedi le vesti degli assassini e di alcuni astanti, in questo caso reinterpretando in controparte la posa michelangiolesca del Lorenzo de’ Medici delle Cappelle Medicee. Sullo sfondo si scorgono, infine, una Gerusalemme romana, Cristo e Dio Padre tra nuvole e putti e, in scorcio a destra, un edificio timpanato con statue analogo a quello che si vede sull’antico sagrato di San Pietro immaginato da Vasari nel grande e quasi coevo Rientro di Gregorio XI da Avignone affrescato nella Sala Regia vaticana (non si tratta dunque, come pure è stato scritto, della facciata di Santo Stefano dei Cavalieri, mai nota in quelle forme e all’epoca ancora allo stadio progettuale). L’articolazione del quadro pisano, sicuramente memore della Lapidazione di santo Stefano licenziata da Giulio Romano per l’abbazia dell’omonimo santo a Genova (1521 circa), dovette essere inoltre di riferimento per l’affresco di stesso soggetto eseguito da Lorenzo Sabatini, su probabile disegno dell’ormai defunto Vasari o comunque rielaborando le idee di quest’ultimo, nella Cappella Paolina in Vaticano (1574-1576), come attesterebbero due disegni rispettivamente conservati all’Istituto Centrale per la Grafica di Roma (inv. D-FC129822) e presso il Museo di Capodimonte a Napoli (inv. GDS_1370).

Il quadro è stato sottoposto nei secoli a diversi interventi conservativi, l’ultimo dei quali, risalente al 2013, ha incluso anche estese indagini diagnostiche mirate a mapparne gli stati di degrado e le ridipinture e a monitorare le condizioni delle assi lignee di supporto. Lavori di manutenzione straordinaria sono inoltre registrati nel 2017.

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Giorgio Vasari, Lapidazione di santo Stefano, 1571. Pisa, Santo Stefano dei Cavalieri

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