Divenuto granduca nell’autunno del 1587, Ferdinando I de’ Medici fece il suo trionfale ingresso a Pisa già il 31 marzo 1588. La comunità locale e l’Ordine di Santo Stefano si mobilitarono per accoglierlo, nominando i cavalieri Ottavio Piazza e Ridolfo Sirigatti responsabili della preparazione degli allestimenti festivi nelle strade e, soprattutto, in Piazza dei Cavalieri e nella prospiciente chiesa conventuale, ancora priva di facciata e spoglia al suo interno, dove il granduca, come gran maestro, avrebbe ricevuto il giuramento di obbedienza da parte dei cavalieri riuniti.
Sirigatti si ingegnò per far innalzare i necessari apparati effimeri, disponendo tra le altre cose che venissero realizzate cinque tele a monocromo aventi per soggetto alcuni episodi della vita del santo titolare dell’Ordine, papa Stefano I, vissuto nel III secolo d.C. e morto martire per decapitazione sotto l’imperatore Valeriano. Da subito destinati alla chiesa, dove rimasero dopo l’evento «non essendo in convento stanza da poterli riporre», questi dipinti rappresentano le uniche testimonianze superstiti della cerimonia, rientrando peraltro in una tipologia tipicamente connessa agli apparati effimeri fiorentini, di cui sono testimonianza anche le due tempere monocrome di Benedetto Veli oggi allestite nella Sala degli Stemmi, all’interno del Palazzo della Carovana, rispettivamente eseguite per le esequie di Filippo II di Spagna (1598) e per le onoranze funebri a Enrico IV di Francia e Navarra (1610).
Un interessante disegno, verosimilmente settecentesco, custodito presso l’Archivio di Stato di Pisa, riproduce parte della sezione longitudinale della parete sinistra di Santo Stefano, lasciando intravedere due delle tele nella loro collocazione originale, subito al di sotto del cornicione; più tardi, infatti, forse in occasione del riassetto ottocentesco degli interni, esse furono spostate più in basso (con eccezione di quella in controfacciata) per lasciare spazio all’esposizione degli stendardi turchi e ai monumentali portali di comunicazione con gli annessi laterali.
Alla lavorazione del ciclo presero parte diversi artisti, tutti ampiamente attivi in area fiorentina, alcuni anche al fianco dell’ormai scomparso Giorgio Vasari. I pittori coinvolti – Alessandro Pieroni detto Alessandro dell’Impruneta, Giovanni Stradano, Giovanni Balducci detto il Cosci, Alessandro Fei detto Alessandro del Barbiere, Giovanni di Raffaello del Pallaio – sono noti con certezza grazie alle attestazioni documentarie già rinvenute e pubblicate, che si limitano però a registrarne l’impegno e i pagamenti ricevuti, senza assegnare con precisione a ciascuno un episodio specifico. Nel 1751 Pandolfo Titi ricordava così all’interno dell’edificio «li cinque quadri fatti a chiaro oscuro, rappresentanti diversi miracoli di santo Stefano papa e martire, e che stanno appesi alle muraglie infra le bandiere», riferendoli genericamente alla «mano di Giorgio Vasari, e de’ suoi scolari», mentre sessant’anni più tardi Alessandro Da Morrona (1812) dichiarava di poter desumere da non meglio esplicitate «antiche carte ch’uno è del Vasari, l’altro è del Ligozzi; che opera di Cristofano Allori è il B. [sic] Cosimo, e che due sono dell’Empoli», confondendosi probabilmente con i nomi di alcuni dei pittori che presero parte alla realizzazione delle Storie dell’Ordine stefaniano dipinte per il soffitto ligneo della chiesa tra il 1604 e il 1613. Si tratta, insomma, di opere oggetto di un lungo dibattito attributivo, senza dubbio complicato dalla difficoltà di osservarne da vicino i dettagli e dalle poche notizie a disposizione su alcuni degli autori coinvolti.
Procedendo dall’ingresso, il primo riquadro del ciclo, sulla destra, è quello con Stefano papa che somministra la comunione ai Cristiani nelle catacombe di Lucina, riferibile ad Alessandro Pieroni, accompagnato da un cartiglio con l’iscrizione «AD SUOS REVERSUS CHRISTI CORPORE COMMVNIVIT». Segue più avanti l’episodio di Stefano papa che risana la cieca Lucilla, con iscrizione «OCULOS LUCILLAE RESTITUIT», attribuito ad Alessandro del Barbiere, al quale nelle carte d’archivio viene in effetti riferita la lavorazione della «prima historia di S. Stefano», che nel racconto agiografico, così come nella descrizione degli apparati festivi compilata nel 1588 da Giovanni Cervoni, combacerebbe con il miracolo di Lucilla. La vita e i miracoli del santo, protagonista di una nota controversia con la chiesa africana riguardo alla validità del battesimo somministrato agli eretici redenti, sono descritti nella Passio Sancti Stephani (VI-VII secolo d.C.), testo di riferimento per questa serie pisana (varie versioni manoscritte del quale si conservano presso la Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze), e più tardi da varie altre fonti, tra cui in particolare gli Acta Sanctorum, editi per la prima volta a stampa nel 1643. Sulla parete sinistra, sempre avanzando dall’ingresso, sono invece disposte le scene della Cattura di Stefano papa (con iscrizione «DUM FORTIS IN FIDE STEPHANVS MARTIS STATVA TERRAEMOTV CONCIDIT», allusiva al miracoloso terremoto generato dal santo in quell’occasione) e della Decapitazione di Stefano papa nelle catacombe di Lucina (con iscrizione «IN SVA SEDE PRO CHRISTI NOMINE CAPVT ABSCINDITUR»), assegnate rispettivamente a Giovanni del Pallaio e al Cosci. Infine, la controfacciata ospita la Sepoltura di Stefano papa nelle catacombe di Callisto, corredata dall’iscrizione «CORPUS VNA CVM SOLIO SEPELÌTVR». I fogli preparatori per questo episodio, custoditi all’Ashmolean Museum di Oxford (inv. nn. WA1943.6; WA1863.202), sono stati ricondotti alla mano di Stradano, con consequenziale estensione di tale attribuzione anche alla relativa tela.
Nel 2000 i cinque monocromi sono stati sottoposti a un importante intervento conservativo, dalla cui relazione, custodita presso l’Archivio della Soprintendenza di Pisa, si trae che essi furono nel tempo più volte restaurati e ritoccati e che i cartigli contenenti le iscrizioni (nelle quali, singolarmente, si alterna l’uso della maiuscola italiana U e della latina V) furono probabilmente ingranditi in un momento imprecisato.
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