Pulpito

S. Stefano – pulpito – TARTARELLI – DSC_7210_copia

Pulpito

A metà della parete sinistra della chiesa di Santo Stefano dei Cavalieri si trova, addossato al muro, un pulpito a tre facce di forma parallelepipeda, con cornici sagomate e aggettanti, retto da due esili colonne tuscaniche di mischio, che si innalzano su alti plinti squadrati composti a loro volta di marmo bianco, verde e nero. I tre lati sono decorati da commessi e intarsi di pietre policrome con motivi geometrici e floreali, mentre nella cornice inferiore si alternano al centro di ogni lato la croce rossa a otto punte, simbolo dell’Ordine stefaniano, e la sigla «O₽AE», forma abbreviata del latino «OPERAE», allusiva all’Opera della Cattedrale di Santa Maria Assunta e quindi all’originaria collocazione del pezzo all’interno di quest’ultima. Il pergamo era infatti stato realizzato nel 1627 dall’artista fiorentino Chiarissimo Fancelli su commissione dell’operaio della Primaziale Curzio Ceuli, con la richiesta di ricomporre in esso il più antico pulpito trecentesco di Giovanni Pisano, gravemente danneggiato dall’incendio che aveva colpito l’edificio nel 1595 e smembrato in parti tra il 1599 e il 1602.

La struttura avrebbe dovuto mantenere la forma pentagonale del modello ligneo messo a disposizione di Fancelli, riproducente le forme dell’originale medievale. La lavorazione risultò però problematica, perché lo scultore non si attenne alla lettera al progetto richiesto, sottoposto e approvato peraltro dallo stesso granduca Ferdinando II de’ Medici, ma eseguì il pulpito a tre sole facce, tanto che Ceuli si rifiutò di pagargli il saldo finale, essendo a suo giudizio il risultato «tanto meschino che il padre predicatore con il compagno non ci puole stare se non stretto» e per questo inadatto alla maestosità del Duomo. La questione, prolungatasi per tutto il 1628, con varie petizioni inoltrate dall’artista direttamente al Medici, a cui fecero seguito di volta in volta le dettagliate controdifese dell’operaio Ceuli, si chiuse infine con il ricorso a degli stimatori esterni e al tribunale, che decretò per Fancelli, con sentenza del 29 luglio 1629, l’obbligo di «ridurre il pulpito alla forma convenuta a tutte sue spese e dentro un tempo determinato», cosa che egli comunque non fece. Come documenta la descrizione scritta compilata dallo stesso Ceuli in una delle sue missive a Ferdinando e attestano foto di medio e tardo Ottocento, il pulpito di Fancelli era stato composto «di marmi et messovi li dui colonne, una di broccatello et l’altra di porfido, con li sui leoni per piedistalli, che già erano nel pulpito del vangelo» e si presentava nella parte alta intervallato da piccole sculture antropomorfe «con la statua nel mezzo di Pisa e le quattro virtù […] con le spallette fatte tutte commettere di fiorami al naturale, et con la scala doppia […] et fattovi li scaloni et balaustri di ottone».

Copyright:
Archivi Alinari, Firenze. Per gentile concessione di Fondazione Alinari per la Fotografia
S. Stefano – pulpito – ALINARI – SCC-F-000392-0000
Enrico Van Lint, Pulpito di Chiarissimo Fancelli, con statue di Giovanni Pisano nel Cattedrale di Pisa, fotografia, ca. 1855. Firenze, Fondazione Alinari, inv. SCC-F-000392-0000
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Archivi Alinari, Firenze. Per gentile concessione di Fondazione Alinari per la Fotografia
S. Stefano – interno duomo pulpito – ALINARI – AVQ-A-000120-0015
Anonimo, Interno della Cattedrale di Pisa con a destra il pulpito di Chiarissimo Fancelli, fotografia, particolare, ca. 1870. Firenze, Fondazione Alinari, AVQ-A-000120-0015

Una lapide commemorativa novecentesca disposta sotto il pergamo nella sua attuale sistemazione a Santo Stefano, affiancata da due mensole con teste di cherubino in marmo bianco che ne sorreggono il lato addossato alla parete, ricorda come nel 1929 l’Opera Primaziale pisana abbia donato il controverso ambone alla chiesa dell’Ordine e come «per le premure del rettore mons. Romeo Galli» questo sia stato ricomposto e completato grazie all’intervento del «R. Opificio delle Pietre Dure in Firenze, a cura e spese dell’amministrazione del Fondo per il Culto, e della R. Soprintendenza all’arte medioevale e moderna di Firenze nel MCMXXX».

Una folta documentazione custodita presso gli archivi della Soprintendenza di Pisa documenta tutte le fasi di questa importante cessione. Già nel 1926 il pergamo lasciato da Fancelli nella Cattedrale era stato smembrato (le foto ottocentesche ne attestano la progressiva spoliazione già in essere) a seguito della decisione di procedere al filologico riassemblaggio del prezioso esemplare medievale di Giovanni Pisano, che si ammira oggi al suo interno. I pezzi marmorei lavorati dallo scultore seicentesco, smontati, furono accantonati fino a quando il rettore di Santo Stefano, Romeo Galli, non pensò di suggerire all’allora operaio della Primaziale, Ferdinando Puntoni, di dare loro nuova vita donandoli alla chiesa dei Cavalieri, affinché potessero essere riassemblati in una degna e storica nuova sede. A seguito dell’accettazione della proposta, Galli, in accordo con il Soprintendente Giovanni Poggi, procedette in primo luogo alla vendita del vecchio pulpito ligneo presente all’interno di Santo Stefano, ricavandone cinquecento lire che furono in seguito reinvestite nelle spese di trasporto e montaggio dei pezzi di Fancelli, poi ricomposti a Firenze, presso l’Opificio delle Pietre Dure, con aggiunta di ulteriori marmi e di due nuove colonne anteriori. Nel 1931, sistemato ormai il pulpito nella chiesa, furono infine montate le due mensole con putti, anch’esse seicentesche, appositamente reperite per tale scopo.

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Foto di Giandonato Tartarelli. ©️ Scuola Normale Superiore. Su gentile concessione del Demanio dello Stato
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