Orologio

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Orologio

La tradizione dell’orologio di piazza è strettamente connessa alla dimensione civica dell’abitare. A Firenze il rintocco dell’orologio pubblico «suonante le ore», inglobato nella torre campanaria di Palazzo Vecchio, è attestato già intorno alla metà del Trecento, ma moltissimi altri sono i casi analoghi, in area toscana e ovviamente non solo, la cui realizzazione coinvolse non di rado artisti di chiara fama. Così avvenne, ad esempio, per l’«oriuolo di Mercato Nuovo» a Firenze, strumento automatico dotato, come ricordato da Giorgio Vasari nelle Vite (1568), di un putto battitore realizzato da Andrea del Verrocchio e fornito di «braccia schiodate in modo che, alzandole, suona l’ore con un martello che tiene in mano». Orologi si trovano anche nelle ville medicee e una precipua attenzione a simili strumenti, sia monumentali che da collezione, oltre che alla loro manutenzione, emerge non di rado dai carteggi privati di vari membri del casato fiorentino e dei loro collaboratori.

Nel corso dei lavori promossi da Cosimo de’ Medici in Piazza dei Cavalieri si decise inizialmente di destinare al campanile di Santo Stefano l’orologio che avrebbe dovuto scandire le ore in tutta l’area, ma solo nel 1678 si arrivò effettivamente a collocarne uno all’esterno della chiesa, scegliendo come sede la cima della sua facciata. La soluzione durò appena quattro anni. Come si trae da una missiva del 1682 di Benedetto Baldinotti, cavaliere e commissario del convento stefaniano, a sua volta interprete del parere dell’auditore Ferrante Capponi, ci si rese presto conto che «continuare a tener l’horiolo nella facciata di questa chiesa conventuale, dove presentemente è collocato» avrebbe fatto «correre un risico continuo di qualche incendio, con l’ocasione [sic] di doversi caricare ogni sera con il lume e portare esso sopra la soffitta di detta chiesa». Si valutò dunque di spostarlo sul campanile, recuperando l’originale progetto di Vasari, ma la maggiore esposizione agli agenti atmosferici e la conseguente raccolta di umidità dovute alla nuova postazione causarono ben presto il cattivo funzionamento del meccanismo.

L’orologio abbandonò quindi definitivamente Santo Stefano nel 1696 per essere murato al centro del prospetto principale del vicino Palazzotto del Buonomo, da allora meglio noto proprio come Palazzo dell’Orologio. Nello stesso anno la facciata dell’edificio fu dotata della mostra con la lancetta e della torretta campanaria in marmo che vi si vedono tuttora. Come conferma una pianta medio-settecentesca del secondo piano (l’attuale quinto livello) del palazzo, per rendere agevoli le operazioni di caricamento si previde da subito un’intera stanza («stanza dell’oriolo») destinata ad alloggiare lo strumento, ancora oggi conservato in loco – sebbene non più in funzione e privato del sistema di contrappesi che in origine scorreva nelle pareti – tra gli scaffali della Biblioteca della Scuola Normale Superiore.

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Su concessione del Ministero della Cultura – Archivio di Stato di Firenze. Con divieto di ulteriore riproduzione e duplicazione
Palazzo Orologio – pianta – ASFi – Fortezze_Fabbriche_399_particolare OROLOGIO
Giovanni Michele Piazzini, Secondo piano del Palazzo dell’Orologio, particolare, 1754. Firenze, Archivio di Stato, Piante dello Scrittoio delle Fortezze e Fabbriche, Cart. VI, 9 V 3, n. 399
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Foto di Giandonato Tartarelli. ©️ Scuola Normale Superiore
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Alloggiamento degli ingranaggi dell'orologio. Pisa, Palazzo dell'Orologio
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Foto di Giandonato Tartarelli. ©️ Scuola Normale Superiore
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Frammento di intonaco con annotazioni relative alla gestione dell'orologio. Pisa, Palazzo dell'Orologio

Accanto agli ingranaggi, un frammento di intonaco reca le annotazioni di mani ed epoche diverse relative alla gestione del dispositivo tra Settecento e Ottocento, quando (come avvenne per le elezioni plebiscitare del 1860 condotte nel Palazzo della Carovana e ricordate in un’intensa lettera di Pasquale Villari) il suo funzionamento era ancora fondamentale per la vita della piazza e della città e le operazioni di monitoraggio erano dunque ricorrenti. Sebbene molte delle scritte risultino barrate con delle linee soprammesse, o abrase di volta in volta per far posto alle successive, è ancora possibile distinguerne alcune: «[…] Pecchioli rip. 11 (?) de luglio 1774»; «G.L. il di 4 maggio 1844»; «Gio. Landi il dì 13 Maggio ripulì, e restau[rò] […] dell’anno 1851 ad gloriam Dei»; «Il 14 il 8 [sic] luglio Vittorio Bertolucci losmonto [sic] e l’ho portato via […] anno 1883».

A queste annotazioni fanno eco, nel Novecento, i documenti custoditi negli archivi della Soprintendenza di Pisa e Livorno, che attestano ulteriori attività di salvaguardia dello storico orologio e delle sue componenti. Non abbiamo notizia precisa di quando il suo meccanismo smise di funzionare, ma un tentativo di ripristino venne di certo compiuto nel 1969 (poco prima del passaggio dell’edificio alla Scuola Normale), quando si richiese la consulenza di un esperto orologiaio, che fornì notizie sullo stato conservativo dell’oggetto e sugli interventi necessari per azionarlo. In particolare, si sarebbe dovuto smontare «l’intero movimento con scrupolosa revisione di ogni singolo pezzo sottintendendo accurata pulitura, essendo totalmente ossidato con sedimenti essiccati dal lungo periodo di abbandono». Continuava quindi lo specialista nella sua perizia: «Occorre altresì sostituire il cordame, essendo l’attuale deteriorato, e poi le corde non consone per tale orologio sia come misura che come spessore. Sostituzione del filo metallico applicato al martello inerente la suoneria […], ricostruzione delle due carrucole di legno applicate ai pesi segnalatori del tempo e della suoneria. Ristabilizzazione del martello battente sulla campana attualmente guasto dal lungo abbandono ed applicazione di un dispositivo […] ideato con movimento oscillante per la lubrificazione della ruota di scappamento, il quale dispositivo è vitalità per l’orologio stesso».

Attualmente, l’orologio funziona grazie a un moderno meccanismo elettronico installato negli anni Ottanta dello scorso secolo (e recentemente sostituito). Nell’aprile del 1987 le carte d’archivio documentano anche l’intervento sulla lancetta, debitamente restaurata e ricollocata al suo posto (questi orologi scandivano solo lo scorrere delle ore, quindi la lancetta era unica, con un’estremità attiva e l’altra con funzione di bilanciamento).

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Foto di Andrea Freccioni. ©️ Scuola Normale Superiore
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Orologio. Pisa, Palazzo dell'Orologio

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