Il collegio degli Anziani del Popolo ha rappresentato la più alta magistratura pisana dal 1254 al 1406, anno della conquista fiorentina. Per il tempo del mandato, di durata bimestrale, i dodici membri del consiglio svolgevano vita comunitaria. Nel corso della storia della magistratura diverse furono le sedi messe a disposizione dal Comune: almeno in un caso, tra la fine degli anni settanta del Duecento e l’inizio degli anni ottanta, sappiamo di una domus su Piazza delle Sette Vie, prima presa in affitto e poi acquistata per essere integrata al nucleo palaziale che si stava costituendo, indicato quindi come Palazzo degli Anziani, sul quale Giorgio Vasari avrebbe costruito l’odierno Palazzo della Carovana e composto almeno inizialmente di due ali. Nel 1355, durante il primo soggiorno dell’imperatore Carlo IV di ritorno da Roma, a quanto riporta la Cronica di Pisa (ms. Roncioni 338), gli Anziani sembra che furono costretti a ritornare nel nucleo più antico («nello palagio vechio dalato», oggi a destra dell’edificio cinquecentesco, per chi guarda), perché nel nuovo corpo (a sinistra) che nel frattempo era stato aggiunto e dove questi magistrati si erano già spostati, si era insediato il sovrano: «allo Palagio degli Ansiani […] istava lo ’nperadore». La Cronaca pisana di Ranieri Sardo aggiunge inoltre che nella stessa ala avrebbe soggiornato anche l’imperatrice Anna di Świdnica: «la Imperadrice nel palagio si fece lo suo letto, dove stavano gli Anziani, e gli anziani tornarono a stare nel palagio dove stava il capitano del popolo».
In questo momento la facciata doveva essere già provvista, stando a notizie di un crollo accidentale nel 1359, in tutto o in parte di merlatura e probabilmente anche di una o più campane (tra queste la «campana grossa»): Francesco Bonaini, nelle note alle Istorie Pisane di Raffaello Roncioni riporta un appunto dagli Annali pisani. A c. 17 si legge tra le notizie riferite al 1359: «in del dicto anno di [lacuna]… per arte magica cadde la campana della torre delli Antiani, e tecto colla armadura sua, tucto di piombo. E la dicta campana e li omini si trovono allato alla parete della cambera di Ser Gaddo Sassa sensa impedimento. E la gherlanda e merli del palagio delli Antian e di quello del capitano del populo via. E trovonsi le piastre del piombo della dicta torre alle mura dirieto all’Arcivescovato». Il palazzo era forse anche provvisto di una seconda campana più piccola di rame attestata in un documento relativo al 1340 citato da Lupi. Nel 1368 ritroviamo gli Anziani invece nel «palazzo nuovo», durante una terza visita dell’imperatore Carlo IV, che in quell’occasione occupò l’ala antica.
Varie fonti documentarie permettono poi di ricostruire la quotidianità della vita degli Anziani, all’interno del loro palazzo. Tra le carte Lupi depositate presso l’Archivio di Stato di Pisa vi sono diverse note inedite, redatte grazie allo studio di fonti cronachistiche e l’analisi di registri di uscita dei bilanci comunali. Ad esempio, sappiamo che gli Anziani, durante la celebrazione di occasioni solenni, usavano indossare vesti di panno scarlatto (da 12 lire la canna), mentre il Notaro degli Anziani panno scarlatto da 6 lire. La guardia armata dei magistrati, i marrabesi, vestiva una tunica e portava spada e pugnale, nonché una rotellina su cui era dipinta l’aquila del Comune. Quanto alle condizioni del vivere, Lupi paragona lo status economico degli Anziani a quello di una famiglia benestante; a tavola non mancavano bevande, frutta e confetture: «masserizie da cucina in quantità non grande rispetto a giorni nostri ma più che sufficienti allora e sufficientissimi di fronte a quelle delle private famiglie». Per quanto riguarda la cura degli spazi e le mansioni domestiche, sebbene «avessero diversi servi e guardie, davano fuori a lavare la biancheria e chiamavano genti apposta a spazzare il Palazzo. Una spazzatura costava 6 denari. A’ priori preparavano il letto, le brache e le camicie, benché le brache e le camicie le trovo date a un famulo». Desta allora meraviglia accostare a tale quadro di vita frugale quanto riporta Ottavio Banti, che deduce dagli Ordinamenta salariorum comunali come tra il 1350 e il 1355 gli Anziani avessero alle proprie dipendenze «ben cento marrabesi e cento famuli, più i cuochi, gli spenditori e altri dipendenti».
Infine, vi erano istruzioni relative alle pratiche religiose cui gli Anziani dovevano assolvere: «aveano una chiesa o cappella nel palazzo ove per loro si faceano le funzioni sacre» per le quali si traevano dai fondi pubblici denari «a provedere tovaglie per l’altare, incenso, candele due delle quali costavano 8 soldi, guanciali, e pianeta».
Il passo è confermato dal ritrovamento alla fine gli anni Settanta nel Palazzo della Carovana di un affresco trecentesco rappresentate una Madonna con bambino (oggi in Sala Azzurra), riferibile probabilmente a una cappella privata ad uso degli Anziani collocabile al secondo piano dell’ala nuova a sinistra. Sugli interni gli studi di Lupi congetturano (attraverso documenti di spesa) l’esistenza di una sala adibita a mensa, degli alloggi dei membri della magistratura, oltreché di una sala «maggiore» (o del consiglio) e un’armeria (quella che Roncioni nomina come «sala del popolo» nella descrizione degli eventi del 1356). Vi era poi una stanza adibita a ufficio del Notaro dei Signori, oltreché, naturalmente, i diversi servizi tecnici. Sempre Lupi segnala infine un documento di affitto di una casa-torre (di non facile identificazione) in San Sebastiano alle Fabbriche Maggiori del 1293, in cui trovano alloggio i marrabesi. Oltre ai frammenti rinvenuti durante i vari restauri della Carovana (anche in Sala degli Stemmi), un documento del 1317 attesta la presenza di diverse decorazioni pittoriche all’interno della struttura medievale: in particolare nella sala maggiore e nell’ufficio del Notaro dei Signori si trovavano affreschi affidati a Francesco Traini, oltre alle decorazioni di cui si fa menzione in un secondo documento del 1322, sempre per la sala del consiglio, per cui si fece uso dei servigi di Tomeo di Betto di Vanni.
Da ultimo alcuni rilievi su elementi interni, dedotti sempre dal lavoro infaticabile Lupi: il tetto del palazzo era «a piastre» mentre quello della sala del consiglio «a travicelli»; le «finestre erano in legno con chiodi e anelli» e vi erano «funi per aprirle». Dati semplici, che tuttavia permettono al viaggiatore di dischiudere l’immaginazione su ambiente altrimenti irrimediabilmente perduti.
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