Un breve servizio realizzato dall’Istituto Luce nel dicembre del 1932, al termine dei lavori di ampliamento e rinnovamento appena conclusi nel Palazzo della Carovana, offre ancora oggi una delle fonti più utili per comprendere quali fossero, in primo luogo agli occhi della comunità della Normale, gli ambienti più rappresentativi dell’edificio in seguito all’intervento promosso da Giovanni Gentile. Tra questi, insieme alla Sala degli Stemmi e agli spazi della nuova biblioteca (quelli delle odierne Sala Azzurra e Sala del Ballatoio), spiccava anche il salone destinato a ospitare la mensa della Scuola.
Oggi sede della Sezione Periodici della Biblioteca, l’ampio ambiente rettangolare si trova al primo piano del Palazzo della Carovana, nel corpo nord-ovest aggiunto sotto Gentile. Affollato da volumi e scaffali, potrebbe apparire quasi irriconoscibile a un osservatore contemporaneo; eppure, a quasi un secolo di distanza, la sua struttura è rimasta praticamente inalterata. Quattro grandi finestre a tutto sesto danno verso l’esterno del palazzo. Altre quattro si affacciano invece sul cortile, conservando una lontana memoria del loggiato del prospetto posteriore vasariano. Al centro della sala, sei larghi pilastri rivestiti da marmi locali creano un corridoio, pensato originariamente per facilitare il passaggio di commensali e camerieri. Da questi pilastri si diramano poi alcuni archi a tutto sesto e costoloni che si incrociano sul soffitto in una sequenza di volte a crociera leggermente ribassate. Ai due lati del corridoio, come testimoniato da una fotografia conservata nell’Archivio della Scuola, trovavano posto in origine quattro grandi tavolate, oggi sostituite dai banchi della biblioteca. Si conservano invece ancora nell’ambiente, seppur così modificato, le originarie lampade a tre bracci del primo allestimento.
Sui due lati più stretti della sala si trovano ancora oggi quattro lunette dipinte ad affresco, realizzate tra l’agosto e il dicembre del 1932. Si tratta di un ciclo decorativo incentrato sugli elementi basilari della mensa: la frutta e la verdura, l’acqua, il pane e il vino, protagonisti di quattro scene dal sapore bucolico che suggeriscono al contempo un vago rimando al trascorrere ciclico delle stagioni. Un tema affine era già stato suggerito (e poi scartato) per ornare il pavimento della sala.
Affresco
Affresco
La prima lunetta ritrae in un mite paesaggio collinare un gruppo di tre adolescenti al termine di un pasto campestre, con un fiasco di vino ormai quasi vuotato e un piatto e un cesto di vimini ancora ricolmi di frutta. La figura maschile, in posizione centrale e con una corona di foglie di vite, intrattiene le due ragazze sedute ai lati suonando una chitarra e richiamando alcune colombe. Nella seconda lunetta si vedono invece una figura maschile e una femminile collocate simmetricamente ai lati di una fontanella di montagna, intente a dissetarsi e a raccogliere l’acqua in due grandi secchi di rame. Il terzo episodio consiste in una scena di raccolta del grano: in un momento di pausa dalla mietitura, un uomo e una donna, accompagnati dal figlio, sono ritratti nell’atto di raccogliere due grandi fasci di spighe, pronte per essere trasportate nel granaio. Si trattava in questo caso di un tema particolarmente fortunato nell’Italia dei primi anni Trenta, quando il regime non mancava ormai di celebrare i successi della cosiddetta ‘Battaglia del grano’: la campagna lanciata da Mussolini alla metà degli anni Venti con l’obiettivo di raggiungere l’autosufficienza nella produzione di frumento (eventi connessi alla quale avevano luogo anche in Piazza dei Cavalieri). La quarta e ultima lunetta raffigura infine una contadina accovacciata su un prato insieme a tre bambini con in mano alcuni grappoli d’uva. Dietro di loro, un piccolo filare di vite.
Affresco
Affresco
Affresco
Sulla loro esecuzione non c’era inizialmente accordo tra Giovanni Girometti (l’ingegnere responsabile dell’ampliamento gentiliano del Palazzo della Carovana) e Francesco Arnaldi, in quel momento vicedirettore della Normale, preoccupato che un intervento pittorico nell’ambiente avrebbe potuto risultare «pesante» e «barocco». Dell’autore delle pitture murali sono note oggi solamente le iniziali: «A.M.», segnate in basso a destra nell’ultima lunetta; il suo nome non compare infatti né all’interno del giornale di cassa della Scuola, né tra le ricevute conservate dall’Archivio della Normale. È probabile comunque che si trattasse di un semplice decoratore locale. Dal punto di vista stilistico, del resto, i suoi affreschi sembrano parlare un linguaggio piuttosto inflazionato nell’Italia del tempo: attento a conciliare un naturalismo di fondo con alcune peculiari eleganze decorative, capaci di adattarsi alla forma delle lunette, ma soprattutto con una salda costruzione volumetrica, implicitamente volta a tradurre in immagine i valori civili e morali allora proiettati dal regime su un ideale di vita familiare e contadina.
Come stabilito dal nuovo regolamento emesso dalla Scuola nell’ottobre del 1933, i docenti e gli allievi accedevano alla mensa «per la porta prospiciente al corridoio delle aule di lezione» (quello dove ancora oggi si trovano le aule Russo, Mancini e Contini). Ogni studente era tenuto a «osservare la massima puntualità», a rispettare il posto assegnatogli a tavola, ma soprattutto a conservare «negli atti, nella conversazione, nel tono della voce […] un contegno corretto» (art. 47). Eppure, risulta piuttosto dissonante la vivace testimonianza offerta da una lettera inviata negli anni Quaranta da Aldo Corasaniti, futuro giudice della Corte Costituzionale, all’amico Alessandro Perosa, come lui ex allievo della Scuola. Con un velo di nostalgia Corasaniti faceva infatti riferimento al «refettorio dove si discute o si scherza ad alta voce» e ai «ragazzi che arrivano quando i professori hanno già cominciato a mangiare», domandando infine all’amico: «si cantano ancora i carmina famosi?».
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