Alla morte del settimo e ultimo discendente della dinastia Medici (Gian Gastone, 1671-1737), il governo del granducato, dopo una prima fase di incertezza in cui sembrava possibile un passaggio di mano al ramo spagnolo dei Borbone, venne ereditato dai Lorena, che si insediarono ufficialmente il 12 luglio del 1737. Le vicende di questa famiglia si erano intrecciate a quelle toscane già nel lontano 1589, quando Ferdinando I de’ Medici si unì in matrimonio alla figlia del duca Carlo III, Cristina di Lorena. La dinastia regnerà sul granducato in anni cruciali per la storia europea: dal 1737 (con la breve seppure importante parentesi napoleonica del 1799-1815) fino al marzo del 1860, quando la Toscana sarà formalmente annessa al neonato Regno d’Italia.
Il primo esponente del nuovo casato fu Francesco Stefano (Nancy 1708-Innsbruck 1765, granduca con il nome di Francesco II): questi, imparentato con gli Asburgo attraverso la moglie Maria Teresa, preferì esercitare la propria sovranità da Vienna, soggiornando a Firenze solo una volta nei primi mesi del 1739 e delegando in sua vece un consiglio di reggenza. Tuttavia, proprio durante gli anni del suo governo, alla metà del secolo, prese avvio una campagna di ristrutturazione e ammodernamento che coinvolse i palazzi dell’Ordine di Santo Stefano (meno strategico nel nuovo contesto internazionale), grazie a una sistematica ricognizione del loro stato affidata a Giovanni Michele Piazzini. Ingegnere dell’Ufficio Fiumi e Fossi di Pisa, tra il 1751 e il 1757 questi avrebbe documentato con precisione lo stato delle fabbriche affacciate su Piazza dei Cavalieri in materiale grafico purtroppo solo in parte conservato, assumendo in alcuni casi anche la responsabilità di interventi diretti, ma soprattutto suggerendo soluzioni che sarebbero state accolte nel corso del successivo governo del figlio di Francesco Stefano.
Di tutt’altro rilievo, non solo per la storia regionale ma per quella europea, Pietro Leopoldo (imperatore dal 1790 come Leopoldo II d’Asburgo-Lorena) succedette al padre alla sua morte, avvenuta improvvisamente nel 1765 e celebrata anche a Pisa, in Santo Stefano. Nato a Schönbrunn nel 1747 e morto a Vienna nel 1792, egli rappresentò uno dei migliori interpreti di quella stagione di riforme alimentata dai principi dell’Illuminismo francese che predicavano il perseguimento della felicità e del perfezionamento umano. Tra gli anni settanta e ottanta mise mano a una corposa ristrutturazione istituzionale dei vari organi di governo centrali e provinciali, introdusse misure economiche ispirate a principi liberali e provvide all’intera riconfigurazione del sistema fiscale. Sempre negli anni settanta propose una revisione dei rapporti con la Chiesa che portò, come ha scritto Renato Pasta, ad uno «smantellamento della giurisdizione ecclesiastica». Di grande rilievo, infine, il progetto costituzionale (mai applicato) per gli Stati di Toscana che prevedeva una forma di partecipazione popolare organizzata su assemblee basate sul censo. Nell’operato di Pietro Leopoldo la presenza di Pisa si segnala, oltre che per la modifica degli statuti dell’Ordine, di cui abrogò la funzione militare, e per l’incentivo della locale sede universitaria, soprattutto per il fatto che proprio in questa città il 30 novembre del 1786 firmò quello che può essere considerato il suo atto politico più rilevante: la Nuova legge criminale che, prima in Europa, aboliva tortura e pena di morte, comportando anche la formale separazione dei compiti di polizia da quelli di giustizia.
Gli succedette il figlio Ferdinando III (Firenze 1769-Firenze 1824) che attuò una politica a tratti oscillante, tra conferme e revoche delle politiche riformistiche impostate dall’azione paterna in una fase di grande fervore coincidente con lo scoppio della Rivoluzione francese. Dopo un complesso tentativo di preservare un equilibrio nei rapporti internazionali in un contesto di forte frizione tra potenze europee e soprattutto di tumultuosa espansione della Francia napoleonica, il 27 marzo 1799 Ferdinando III fu costretto ad abbandonare Firenze. Vi ritornò, reintegrato nelle sue funzioni, il 17 settembre 1814. Il 9 giugno, con la firma dei protocolli del Congresso di Vienna riguardanti l’Italia, il granducato ottenne il ripristino dei suoi antichi confini. Al rientro, Ferdinando dovette fare fronte alla difficile situazione interna tra dissesto finanziario e una complessa opera di ricostruzione normativa in cui al ripristino delle formulazioni pre-1799 si aggiunse la conservazione di una serie di innovazioni del periodo napoleonico. Pisa e Piazza dei Cavalieri subirono conseguenze di rilievo dal cambio di regime: l’Ordine di Santo Stefano, soppresso per decreto napoleonico nel 1809, venne ricostituito nel 1817.
Alla morte di Ferdinando nel 1824, anch’essa celebrata in Santo Stefano, succedette il figlio Leopoldo II di Toscana, l’ultimo granduca de facto di Toscana che governò fino al 1859, poco prima dell’annessione al Regno d’Italia del 1860, attuando in particolare un poderoso sforzo di ammodernamento infrastrutturale tra bonifiche e nuove linee stradali e ferroviarie, mentre Pisa assumeva sempre più il ruolo di rinomato luogo di attrazione per il turismo intellettuale europeo e di centro accademico di prim’ordine (qui si tenne, nel 1839, il primo congresso scientifico italiano). Infine, proprio a Leopoldo II si deve, nel 1846, il ripristino dell’istituzione di origine napoleonica della Scuola Normale e della sua collocazione nella sede attuale presso il Palazzo della Carovana.
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