La perdita dell’indipendenza pisana, anche se fu sancita in modo incruento nell’autunno del 1406, comportò la fine dell’effettiva partecipazione dei cittadini alla vita politica. Il dominio di Firenze, infatti, fu fin da subito esercitato in maniera diretta e il rapporto con l’élite locale si consumò all’insegna di una totale sfiducia, che motivava la completa estromissione da ogni posizione di effettivo potere dei pisani. Secondo lo storico Francesco Guicciardini, quando nel 1494 Pisa consegnò le chiavi a Carlo VIII, il giureconsulto Burgundio Leoli ebbe a riassumere la situazione dei suoi concittadini in questi termini: «non essere ammessi a qualità alcuna di uffici e d’amministrazione nel dominio fiorentino, eziandio di quelle le quali alle persone straniere si concedono». Tale condizione faceva di Pisa l’unico dominio in cui Firenze poteva esercitare il controllo senza la necessità di alcun consenso.
Nei patti stipulati fra Giovanni Gambacorti e la repubblica fiorentina per la cessione di Pisa, in realtà, era stato promesso che il governo delle istituzioni municipali sarebbe rimasto ai pisani, sebbene alla sola fazione bergolina, composta da mercanti e armatori, storicamente favorevoli a un atteggiamento di apertura della città nei confronti degli uomini d’affari fiorentini. Doveva essere invece esclusa dal governo la fazione dei raspanti, che raccoglieva i cittadini coinvolti in attività manifatturiere, preoccupati dalla concorrenza dei fiorentini. Gino Capponi – commissario fiorentino e, per otto mesi dalla conquista, capitano della città – parlando ai notabili pisani riuniti nel Palazzo degli Anziani il 9 ottobre 1406, dichiarò tuttavia che il nuovo assetto politico avrebbe dato uguale peso a entrambe le fazioni. Questa posizione di equilibrio, però, restò nominale per due ragioni: il reale valore delle due fazioni si era dissolto con la perdita dei principali notabili che le avevano animate, e le cariche cui i pisani ebbero accesso avevano di fatto potere limitatissimo. La repubblica di Firenze, perciò, ebbe agio di riorganizzare il governo secondo il suo piano di coinvolgimento esclusivo di fidati nomi fiorentini. A questo dominio diretto, inoltre, si accompagnava la stretta sorveglianza delle cariche ecclesiastiche e di istituzioni di grande peso, quali l’Opera del Duomo o gli ospedali.
A Firenze fu istituito un ufficio di dieci cittadini fiorentini, i Decem Pisarum, che aveva il compito precipuo di provvedere al controllo della città. A Pisa, Firenze era rappresentata dal Capitano di custodia e balìa, una carica che sostituiva quella pristina del Capitano del Popolo, e da un Podestà, che non veniva più designato dagli Anziani, ma imposto dalla città dominante. Entrambe le cariche avevano durata semestrale e coloro che le detenevano, scelti esclusivamente fra fiorentini, dovevano costantemente comunicare con i Decem Pisarum, cui di fatto era demandato ogni potere decisionale. La stessa esistenza delle due cariche nel corso del Quattrocento venne vissuta in città come un’imposizione; l’ufficio del podestariato, in particolare, era considerato del tutto inutile dai pisani, che però dovevano assicurare lo stipendio a chi lo ricopriva, e, difatti, esso venne sospeso a più riprese fra 1432 e 1472, per essere poi abolito nel 1491.
Data la natura del governo di Pisa, che dipendeva dai provvedimenti presi dalla Repubblica fiorentina e volti al mantenimento del controllo della città, in taluni momenti entrambe le cariche di capitanato del popolo e di podestariato vennero sospese e i loro uffici affidati a un Commissario, spesso in relazione a momenti calamitosi, come nel caso di un’epidemia di malaria particolarmente virulenta nel 1464.
L’antico consiglio degli Anziani fu sostituito da un organo composto da otto Priori, eletti ogni due mesi fra i cittadini pisani, due per ciascun quartiere, con la clausola che vi fossero rappresentati in parti uguali bergolini e raspanti: una distinzione che perdurò fino al quarto decennio del Quattrocento. A loro erano demandate soprattutto questioni fiscali, che si limitavano però di fatto solo alla riscossione delle onerose tasse imposte da Firenze a Pisa per tutto il primo periodo della dominazione, dal momento che, dal 1406, a Pisa era stata preclusa la facoltà di imporre qualsiasi gabella o tassazione. Senz’altro, quello dei Priori era l’ufficio più importante nel comune di Pisa ed ebbe sede nel Palazzo già degli Anziani (oggi della Carovana), dove ancora si può riferire alla loro committenza un frammento di affresco raffigurante la Verità, in Aula Bianchi. Successivamente l’edificio fu occupato dal Commissario di Pisa (1509) e i Priori si spostarono nel palazzo che da questo collegio prese il nome (oggi Palazzo dei Dodici).
Nella seconda metà del Quattrocento, le conseguenze dell’impoverimento di Pisa si facevano chiaramente sentire nello spopolamento e nella poca produttività del contado: una situazione alla quale il governo fiorentino reagì istituendo nel 1475 l’Opera della reparatione del contado e della città di Pisa, alla quale era preposto un commissario, che costituì un primo decisivo passo in favore della ripresa economica cittadina.
Dopo l’effimera esperienza della libertà repubblicana (1494-1509), Pisa capitolò; la rinnovata sottomissione a Firenze era sancita da un atto di capitolazione (1510) che conteneva delle concessioni alla cittadinanza, ad esempio il diritto di darsi nuovi statuti e di eleggere le magistrature della comunità, ma contemplava comunque lo stretto controllo della città dominante, attraverso il Capitano, il Podestà (nuovamente ristabilito), i quattro Consoli del Mare e il Commissario dell’Opera della reparatione. La stretta si attenuò lievemente fra 1530 e 1532. In occasione della guerra e assedio di Firenze, infatti, Capitano e Podestà furono sostituiti da due commissari, fra i quali, nel 1530, era proprio Francesco Guicciardini, che portò l’attenzione sul caso di Pisa, la cui rinascita economica era impossibilitata dall’assetto governativo inerte e soffocante. Nel 1534, sotto al duca Alessandro de’ Medici, le funzioni di Capitano e di Podestà furono accentrate in un unico ufficiale fiorentino chiamato Capitano e commissario di Pisa. Questa è la situazione che giunse ai tempi del duca Cosimo I, sotto al cui principato si affermò una chiara tendenza centralistica, tesa però al rilancio economico di Pisa, perseguito attraverso l’istituzione degli Otto provveditori sopra le cose di Pisa (1542), fra i quali trovò posto anche Guicciardini, e attraverso l’affidamento della giurisdizione in materia marittima e mercantile all’organo ripristinato dei Consoli del Mare (aboliti nel 1533 e sostituiti con un unico Provveditore delle Gabelle).
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