«Nella soffitta tutta messa a oro vi sono sei quadri, ove vengono rappresentate diverse imprese state fatte dai cavalieri di quest’Ordine, per mare e per terra, come si legge nell’iscrizioni collocate accanto alli medesimi». Con queste parole Pandolfo Titi si soffermava a descrivere, a metà del Settecento, le sei tavole dipinte con Storie dell’Ordine di Santo Stefano incassate in sequenza nel sontuoso soffitto ligneo seicentesco, intagliato e dorato, posto a coronamento dell’invaso principale della chiesa dei Cavalieri. I quadri, la cui messa in opera fu coordinata da Giorgio Vasari il Giovane e Ridolfo Sirigatti, furono oggetto di una lunga gestazione, avviata nel 1604 e conclusa un decennio dopo, sotto Cosimo II de’ Medici. Il programma decorativo del soffitto ligneo di Alessandro Pieroni (che nel 1739 Charles de Brosses aveva invece riferito per intero a Bronzino) mirava infatti a celebrare il regno di Ferdinando I tramite i maggiori successi delle galee dell’Ordine. Sotto la reggenza di quest’ultimo non si poterono però annoverare schiaccianti vittorie per mare se non, nel 1602, la gloriosa impresa dell’ammiraglio Inghirami nel mar Egeo. Si procedette quindi a un ampliamento cronologico del tema, che includesse anche i precedenti granduchi, e si assegnò l’incarico a Ludovico Cardi detto il Cigoli, che rifiutò però di occuparsene da solo, costringendo i due supervisori ad assoldare nuovi artisti.
Procedendo dall’altare maggiore verso l’ingresso, il primo dipinto è proprio quello di Cigoli, con Cosimo I de’ Medici che riceve l’investitura di gran maestro dell’Ordine, affiancato a destra e a sinistra, entro cartigli ottagonali, da due iscrizioni in lettere capitali “COSMVS MAGNVS DVX I D[IVI] STEPH[ANI] EQVITVM RELIG[IONE] INSTITVTA” e “MAGNI MAGISTRI CAPIT INSIGNIA ANNO DOMINI MDLXI [da leggere 1562]” che ne chiariscono il soggetto. Cosimo viene rappresentato inginocchiato davanti a monsignor Giorgio Cornaro, nunzio di Toscana, affiancato da chierici (per uno dei quali si conserva un disegno preparatorio agli Uffizi, inv. 8970F), nell’atto di baciare la croce a otto punte della Regola benedettina, prescelta come simbolo del cavalierato stefaniano; alla sua destra il preposto dei canonici Giovanni Castiglione sorregge la bolla papale contenente l’approvazione dell’Ordine e la nomina di Cosimo a primo gran maestro. Prendono parte alla cerimonia anche Eleonora di Toledo, consorte del Medici, e un gruppo di astanti, alcuni dei quali in armi, mentre sullo sfondo si riconosce una fantasiosa veduta di Pisa. Segue Il rientro della flotta dopo la Battaglia di Lepanto firmato da Jacopo Ligozzi, affiancato dalle iscrizioni “TRIREMES DVODECIM IN AVXIL. SACRI FOEDERIS MITTIT”, a sinistra, e “VNDEM CVM VICTORIA REDIERE ANNO DOMINI MDLXXI”, a destra.
Come terza tavola dipinta si incontra Maria de’ Medici che salpa da Livorno alla volta di Marsiglia di Cristofano Allori, con ai lati le iscrizioni “FERDINANDVS MAGNVS DVX III HENRICO III FRANC. REGI” e “MARIAM FRATRIS FILIAM IN MATR. COLLOCAT A DOMINI MDC”, che illustra il momento in cui la donna, presa in sposa per procura da Enrico IV di Francia, si imbarcò per raggiungere il consorte, scortata dalle galee dell’Ordine, unico episodio non direttamente connesso alla storia militare, ma comunque legato al coinvolgimento delle navi medicee negli eventi solenni della corte; e la già citata Vittoria navale nel mar Egeo di Jacopo Chimenti, corredata a destra dall’epigrafe “MAGNI FERDIN. TRIREMES SEX AB IPSO MARI EGEO” e a sinistra da “QVATVOR TVRCAR. CAPTIVAS DVCVNT A. DOMINI MDCII”, in cui si vede al centro la nave capitana della flotta turca, a cui fu sottratta proprio in quell’occasione la bandiera (fiamma) da combattimento tuttora allestita sulla parete destra della chiesa di Santo Stefano. Queste prime quattro tavole furono tutte eseguite tra l’autunno del 1604 e la primavera del 1605, fruttando a ciascuno degli artisti coinvolti un corrispettivo di 150 scudi.
Nel marzo 1607 fu invece licenziata la quinta, nuovamente dipinta e firmata da Ligozzi e avente in questo caso per soggetto La conquista della città di Prevesa (o Nicopoli), una battaglia svoltasi nel 1605 che vide l’Ordine vincitore sul nemico turco, di cui espugnò la roccaforte sita sulla punta dell’Epiro. L’importanza dell’evento, che determinò un cambio di rotta nel progetto iconografico iniziale, è ricordata anche nelle iscrizioni “NICOPOLIS ACTICA TVRCARVM MVNITISS. OPPIDVM A.D. STEPH. EQVITVM V TRIREM” e “MAGNI FERDINANDI AVSPICIIS FORTITER EXPVGNAT DIRIPTQ. A. DOMINI MDCV”. Dopo la presa di Bona, in Algeria, nello stesso 1607, si decise di dedicare alla gloriosa impresa un sesto e ultimo dipinto commemorativo, assegnato a Chimenti dopo una prima rinuncia di Domenico Passignano e installato sul soffitto molti anni dopo, nel 1614, regnante ormai Cosimo II de’ Medici. Le iscrizioni disposte ai lati recitano rispettivamente “PRINCIPIS AVSPICIIS FERDINANDO PATRE ANNVENTE” e “BOMNA OLIM HIPPO RENGIUS EXPVGNATVR A. D. MDCVII”. A differenza delle precedenti, vista la concitazione con cui furono realizzate, le ultime due tavole furono pagate 200 scudi ai due artisti, che le eseguirono, come le altre, a Firenze, inviandole poi a Pisa via fiume per il montaggio finale.
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