I lavori di costruzione della chiesa di Santo Stefano presero avvio nella primavera del 1566, per procedere speditamente fino alla consacrazione dell’edificio, il 21 dicembre 1569. Le esigenze operative dell’Ordine imponevano, infatti, di rendere fruibile in tempi brevi uno spazio da adibire al culto e alle cerimonie, che per tale ragione venne consegnato ancora incompleto, con il campanile in cantiere e la facciata e gli interni completamente spogli. L’ampio invaso della navata era coperto da una struttura lignea articolata in dieci capriate, progettata, come del resto gran parte delle altre componenti della chiesa, da Giorgio Vasari. Un disegno custodito presso l’Archivio di Stato di Pisa reca testimonianza di come l’architetto, che pochi anni prima aveva concepito l’imponente soffitto ligneo del Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio a Firenze, avesse fornito tutte le indicazioni tecniche necessarie alla messa in opera, studiando un preciso schema costruttivo e indicando persino la misura delle travi (31 braccia), dando così prova di una salda perizia ingegneristica.
Mancava tuttavia il palco vero e proprio, realizzato molti anni dopo la scomparsa dell’aretino, tra il 1603 e il 1606, da Alessandro Pieroni con l’aiuto di Filippo Paladini, autore degli intagli dorati su fondo azzurro che vi si vedono tuttora. Il pregevole soffitto, costruito per ovviare al cattivo stato di conservazione in cui già versavano le capriate vasariane, si articola geometricamente in una serie di cassettoni rettangolari, esagonali ed ottagonali: sulla cornice più esterna si rincorrono lacunari a forma di ottagono contenenti rosette e poi scudi con imprese dei primi granduchi medicei (Cosimo I, Francesco I e Ferdinando I de’ Medici) e un’iscrizione che ne ricorda l’esecuzione nel 1604, per volere di Ferdinando I; vi sono inoltre rettangoli con panoplie e strumenti di navigazione, allusivi al ruolo del cavalierato come potenza militare marittima. Nella sezione mediana si alternano invece, sorretti da angeli in volo, stemmi con la croce a otto punte, simbolo dell’Ordine stefaniano, e stemmi medicei, nonché una serie di sei dipinti dedicati alle imprese della flotta granducale, affiancati a destra e a sinistra da esagoni oblunghi contenenti iscrizioni in lettere capitali che ne descrivono brevemente il soggetto.
Come testimonia una preziosa sequenza di undici disegni raccolti nel codice Ottoboniano Latino 3110, custodito presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, utili a documentare le varie fasi di lavorazione progettuale, la gestazione del palco di Santo Stefano dovette avviarsi intorno al 1595, quando il priore della chiesa, lamentandosi delle precarie condizioni conservative del tetto dell’edificio, rimase presumibilmente colpito dal soffitto allora in lavorazione nella Primaziale pisana ad opera di Bartolomeo Atticciati e Alessandro Pieroni, a seguito del rovinoso incendio che aveva colpito la precedente copertura, e programmò di farne realizzare uno simile anche per Santo Stefano. Non fu quindi un caso che lo stesso Pieroni ottenesse l’incarico e che i primi disegni ideativi mostrino stringenti assonanze con quanto si vede nella Cattedrale, essendo caratterizzati da un andamento a lacunari squadrati, che solo nelle fasi successive iniziarono a evolversi in forme via via più articolate, con l’annessa comparsa di allegorie ed elementi dipinti.
Le proposte ideative non convinsero però il Consiglio dell’Ordine, che nell’ottobre 1602 richiese l’invio da Roma di disegni (anch’essi oggi raccolti nel già citato codice vaticano) che riproducessero i più pregevoli soffitti dell’Urbe, da cui trarre ispirazione per l’esemplare pisano, con particolare riguardo per quello di Santa Maria in Vallicella, costruito sotto il patronato dell’allora cardinale Ferdinando de’ Medici. Fu infine il palco dell’Ara Coeli, risalente al 1572 e commemorante la vittoria cristiana a Lepanto, a incidere maggiormente, anche per ragioni simboliche, sui successivi sviluppi progettuali.
Il soffitto pisano fu ultimato entro il 1604 e completato in tutte le sue componenti, con l’aggiunta a scaglioni delle tavole dipinte con Storie dell’Ordine di Santo Stefano, entro il 1614, regnante ormai Cosimo II. Un’idea generale del progetto si trae da un anonimo disegno custodito agli Uffizi (inv. 44 Orn), che illustra la «Quarta parte della soffitta della Chiesa dell’Ill.ma e Sacra Relig.ne di Santo Stefano di Pisa», con corredo di vari profili in sezione tridimensionale degli ornati presenti sulle incorniciature. L’impressione sui visitatori è confermata da un riferimento primo settecentesco di De Rogissart, che nei suoi appunti di viaggio annotò «la voûte en est toute dorée» (‘la volta è tutta dorata’).
Penna e acquerello su carta bianca, 400 x 260 mm
In alto a destra la scritta: «Quarta parte della soffitta della Chiesa dell’Ill.ma e sacra Religione di S. Stefano di Pisa»
Nelle porzioni di foglio sottostanti, le scritte: «A. modanatura della cornice attorno, la pittura» / «B. modanatura della cornice attorno alli ottangoli grandi dell [sic] mezzo» / «C. modanatura della cornice attorno li ottangoli piccoli» / «D. modanatura della cornice attorno li ottangoli delle interieptioni» / «F. cornice intorno la chiesa».
In basso a sinistra la scritta: «B[racci]a cinque fiorentine».
Nel 1616, dunque a pochissima distanza dal completamento dei lavori, Paolo Guidotti detto il cavalier Borghese presentò al Consiglio dell’Ordine un progetto di ampliamento della chiesa di Santo Stefano, rispondendo a una richiesta inoltrata dal granduca e da sua moglie, la granduchessa Maria Maddalena d’Austria, prevedendo anche una mai realizzata estensione del soffitto di Pieroni, necessaria per coprire i nuovi spazi, che avrebbero modificato la pianta ad aula unica della chiesa in una croce latina.
Sul fronte conservativo, il delicato soffitto, agganciato in modo diretto alle capriate vasariane, pose continui problemi di tenuta, a cui si dovette ripetutamente tentare di porre rimedio, in particolare dopo i bombardamenti che colpirono la città nel 1943 e danneggiarono anche il campanile della chiesa. Nel 1944 il tetto risultava pericolante e l’anno successivo si intervenne con un restauro conservativo piuttosto radicale, che portò allo smontaggio della porzione di palco corrispondente all’altare maggiore per procedere alla sistemazione delle sottostanti capriate, danneggiate dal crollo della torre campanaria e fissate da puntelli di sostegno; si recuperarono inoltre i vari frammenti lignei caduti, che inclusero anche le teste di alcuni angeli reggistemma. Nel 1947 e nel 1948 i documenti attestano ulteriori danni statici, ma l’assenza di fondi portò a una puntellatura di rinforzo in attesa dei lavori eseguiti nel 1949, in occasione dei quali vennero inseriti tiranti di ferro.
Le condizioni dell’ampio soffitto non accennarono, tuttavia, a stabilizzarsi, continuando a richiedere interventi urgenti, registrati periodicamente dagli anni Cinquanta (tra il 1954 e il 1955 si provvide, in particolare, alla rimozione e riadesione di pezzi pericolanti, alcuni dei quali furono rifatti ex novo) ai Novanta dello scorso secolo, fino al nuovo smontaggio e consolidamento di tutte le componenti eseguito nel 1995. Di recente è stato avviato un nuovo restauro dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Pisa e Livorno.
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