Organi

S. Stefano – organo Zeffirini – particolare – testata – Tartarelli – DSC_7247 copia

Organi

Ai lati destro e sinistro dell’altare maggiore di Santo Stefano dei Cavalieri sono rispettivamente disposti due monumentali organi a canne, uno cinquecentesco e uno risalente alla prima metà del Settecento, entrambi caratterizzati da importanti vicende costruttive.

La messa in opera del più antico dei due prese avvio nell’estate del 1569, quando il Consiglio dell’Ordine, di comune accordo con il quasi granduca Cosimo I de’ Medici, si attivò per dotare la chiesa conventuale – all’epoca ancora in gran parte spoglia di arredi – di un organo che rispondesse non solo a determinati canoni estetici, ma che fosse anche realizzato con la massima cura tecnica, per funzionare nel migliore dei modi. Con grande concitazione e con la clausola di una consegna a breve termine, entro il Natale dello stesso anno, si decise così di affidare il lavoro al cortonese Onofrio Zeffirini, appartenente a una delle più prolifiche e affermate famiglie di organari del Cinquecento, particolarmente attiva proprio in Toscana, che avrebbe dovuto operare sulla base di un disegno fornito dal progettista e referente unico per i lavori pisani, Giorgio Vasari (il foglio è tuttora custodito presso l’Archivio di Stato di Pisa, mentre un secondo e più rifinito studio con la porzione sinistra dello strumento è incluso nel manoscritto Ottoboniano Latino 3110 della Biblioteca Apostolica Vaticana).

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Foto di Andrea Freccioni. ©️ Scuola Normale Superiore. Su gentile concessione del Demanio dello Stato
S. Stefano – organo Ciaia – FRECCIONI – DJI_0443_copia
Azzolino Bernardino della Ciaia, Organo, 1734. Pisa, Santo Stefano dei Cavalieri, entrando a sinistra dell’altare
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Foto di Giuseppe Maltana. Su concessione del Ministero della Cultura – Direzione generale Archivi. Con divieto di ulteriore riproduzione o diffusione
S. Stefano – disegno organo – Vasari – ASPi – 1409, c. 175r
Giorgio Vasari, Progetto per l’organo di Santo Stefano, 1569. Pisa, Archivio di Stato, Ordine di Santo Stefano, 1409, c. 175r
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Foto di Andrea Freccioni. ©️ Scuola Normale Superiore. Su gentile concessione del Demanio dello Stato
S. Stefano – organo Zeffirini – FRECCIONI – DJI_0445-sistemata_copia
Onofrio Zeffirini, Organo, 1569-1571. Pisa, Santo Stefano dei Cavalieri, entrando a destra dell’altare

Oltre a Zeffirini, che accettò un compenso di «scudi 200 di lire 7 per scudo […] con conditione se li faccia lo sborso di presente di scudi 100, et el resto a l’ultimo», furono ingaggiati anche Giovanni Fancelli, detto Nanni di Stocco, e Davide Fortini, che realizzarono i «poggioli di marmo e misto» per l’organo e per i musici, mentre Nigi della Neghittosa, sempre su disegno vasariano, fu l’autore dell’ornamento ligneo dorato che incorniciava lo strumento. I costi di fabbricazione di quest’ultimo, che si configurò come il più maestoso mai costruito da Zeffirini e anche per questo come il suo capolavoro, vennero integralmente sostenuti da Cosimo I, che assicurò anche l’immunità doganale per il trasporto di tutte le componenti, lavorate a Firenze e condotte a Pisa via fiume. Nonostante gli sforzi di Vasari per tenere sotto controllo gli sviluppi dei lavori, di cui diede costante aggiornamento ai referenti dell’Ordine stefaniano, la messa a punto dell’organo si protrasse ben oltre i termini previsti: Nigi della Neghittosa consegnò gli ornamenti dorati nella primavera del 1570, i poggioli furono pronti solo nel dicembre successivo e da ultimo Zeffirini, nell’aprile 1571, concluse la preparazione delle componenti strumentali.

Il 14 agosto 1571 l’organo, finalmente completo, venne collocato nella chiesa di Santo Stefano, a sinistra, spalle all’ingresso (o meglio, in cornu evangelii), dove rimase fino al 1734, quando fu spostato sul lato opposto, a destra (in cornu epistolae) per lasciare spazio al nuovo, monumentale organo che, dopo quello minore del lucchese Cosimo Ravani aggiunto nel 1618 (e per il quale nei decenni successivi Ciro Ferri presentò progetti di ornamento), fu ideato e poi donato all’Ordine dal cavaliere Azzolino Bernardino della Ciaia, ornato da un’incorniciatura lignea intagliata e dorata dal legnaiolo Andrea Andrei. Si trattava di uno strumento del tutto innovativo per il contesto italiano, dotato di quattro tastiere più una quinta per il salterio come i grandi organi d’Oltralpe, diffusi in particolare tra Francia e Fiandre; la fonica era invece, nel suo complesso, più vicina alla tradizione italiana, sebbene esso fosse al contempo provvisto di registri insoliti, come il nazardone e il cornettone, ancora una volta più comuni nella produzione dell’Europa transalpina.

Inaugurato nell’autunno 1737 in occasione degli omaggi tributati in Santo Stefano al defunto granduca e gran maestro Gian Gastone de’ Medici, l’organo di Azzolino, ancora non ultimato nel momento del suo primo utilizzo, fu descritto dal suo stesso autore l’anno seguente, a lavori finiti, in un opuscolo a stampa tuttora prezioso per ricostruirne l’assetto originale, profondamente alterato – come avvenuto anche nel caso del pendant cinquecentesco – da rifacimenti e manomissioni successive.

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Foto di Giandonato Tartarelli. ©️ Scuola Normale Superiore. Su gentile concessione del Demanio dello Stato
S. Stefano – organo Ciaia – particolare cornice – Tartarelli – DSC_7259_copia_2
Andrea Andrei, Cornice superiore dell’organo settecentesco, particolare, 1734. Pisa, Santo Stefano dei Cavalieri

Entrambi gli organi pisani, e quello settecentesco in particolare, andarono in contro in epoca moderna a interventi che hanno finito per alterarne l’assetto e, quindi, il funzionamento. Nel 1896 è addirittura documentato il tentativo di musealizzazione per uno dei due, presumibilmente il più antico, smontato dopo un incendio e depositato in via provvisoria nei locali del Palazzo della Canonica. Tra il 1907 e il 1908 per quello settecentesco, ridotto in condizioni di degrado tali che «l’organista si è rifiutato di farne uso», fu invece preparato un primo progetto di restauro, elaborato dagli intendenti Filippo Tronci, Enrico Barsanti e Giuseppe Menichetti, ma il supervisore designato, Giovanni Tebaldini, maestro organista della Santa Casa di Loreto, giudicò opportuno respingere tale progetto, proponendo piuttosto, visto il «posto si alto nella storia dell’arte musicale» occupato dallo strumento pisano, di bandire un concorso per specialisti, che fu infine vinto da Giovanni Tamburini da Crema. Questi, dopo aver versato una cauzione di sicurezza per coprire eventuali problemi e imprevisti dovuti al suo operato, si impegnò a occuparsi dei periodici collaudi, accordi e verifiche di funzionamento dell’organo, tra gli anni Dieci e Venti del Novecento.

Nel 1924 venne cambiato il motore elettrico «e invertita la corrente da continua in alternata», mentre nel 1930 se ne predispose l’accoppiamento elettrico con quello cinquecentesco, definito nelle relative carte «completamente inservibile», con una inevitabile ricaduta sull’originale composizione fonica di entrambi gli strumenti, che si poterono da allora suonare servendosi di «una sola consolle a tre tastiere, posta nel coro della chiesa». In epoca post-bellica, gli organi, «che sono l’orgoglio dei pisani», necessitarono nuovamente di manomissioni per far fronte ai danni causati dai bombardamenti abbattutisi sulla città nell’estate del 1943, che avevano portato al «crollo di una parte del campanile» e alla conseguente caduta di «polvere e pezzi d’intonaco», arrecando seri problemi soprattutto al più antico dei due, le cui componenti subirono rotture in più punti.

Tra il 1946 e il 1951 furono dunque studiati vari progetti di intervento, ma la carenza di fondi non rese possibile procedere nell’immediato ai lavori, che furono infine avviati nel 1952. Nuove operazioni minori sono registrate anche nel corso degli anni Sessanta, e periodici furono da quel momento gli interventi di manutenzione ordinaria, di cui rimane testimonianza fino all’epoca recente.

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Foto di Giandonato Tartarelli. ©️ Scuola Normale Superiore. Su gentile concessione del Demanio dello Stato
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