Bronzino, Natività

S. Stefano – interno – Bronzino, testata – TARTARELLI – DSC_2708_testata

Agnolo Bronzino

Natività

Il dipinto, raffigurante una Natività e realizzato ad olio su tavola, fu commissionato nel 1564 ad Agnolo Bronzino dal duca Cosimo de’ Medici per l’allora erigenda chiesa di Santo Stefano dei Cavalieri. Nella biografia dedicata al più anziano collega nelle Vite (1568), Giorgio Vasari ricordava con parole di lode quest’opera, a suo giudizio dipinta «con tanta arte, diligenzia, disegno, invenzione e somma vaghezza di colorito, che non si può far più», aggiungendo anche, non senza una vena di autocompiacimento, che «certo non si doveva meno in una chiesa edificata da un tanto principe, che ha fondata e dotata la detta Religione de’ Cavalieri».

Lavorata a Firenze e trasferita via fiume a Pisa nell’aprile 1565, la tavola fu provvisoriamente esposta nella chiesa di San Sisto, utilizzata dai Cavalieri per officiare in attesa del completamento della Conventuale, dove essa avrebbe dovuto ornare l’altare maggiore. I piani di allestimento, tuttavia, variarono nell’arco di poco: nel 1569 il Consiglio dell’Ordine valutò il quadro troppo grande per l’area absidale, preferendogli un ciborio in bronzo circondato da statue, e decise di spostarlo entro un’edicola minore sulla parete laterale sinistra dell’edificio, affrontata a una struttura analoga su quella destra, presto occupata dalla Lapidazione di santo Stefano protomartire dello stesso Vasari.

La pala bronzinesca, ricadente nella tarda produzione del pittore, è considerata con parere unanime dalle fonti, fino a tutto l’Ottocento, una delle sue migliori realizzazioni, mentre risulta sostanzialmente negletta negli studi moderni. La sua allogazione si associa, in un breve giro di anni, a quella della monumentale Deposizione di Cristo per la chiesa dei frati minori Osservanti a Portoferraio (oggi alla Galleria dell’Accademia di Firenze, inv. 1890 n. 3491), richiesta nel 1561 all’artista dai duchi Cosimo de’ Medici ed Eleonora di Toledo e consegnata anch’essa nel 1565, proprio in concomitanza con la Natività di Pisa. Le due opere, destinate entrambe a collocazioni di rilievo, sono un’emblematica testimonianza del favore di cui l’ormai ultrasessantenne maestro godeva a corte, dove la sua posizione non era stata in alcun modo compromessa dall’affermazione di Vasari quale referente primario delle politiche urbanistiche e autorappresentative di Cosimo.

Il dipinto si presenta affollato di figure, ancora impregnate di un gusto ‘di maniera’ in grado di spaziare dagli accesi cangiantismi coloristici dei primi ‘eccentrici’ fiorentini – tra cui il maestro stesso di Bronzino, Jacopo Pontormo –, al repertorio michelangiolesco e allo smaltato intellettualismo tipici della produzione pittorica ufficiale della Firenze medicea, quasi in una sorta di testamento artistico dell’autore, che vi appose in lettere capitali la propria firma, sullo spigolo della pietra angolare dove poggia il giaciglio di Gesù Bambino: «A DIO SIA GLORIA OPERA DI AGNOLO DET[TO] IL BRONZINO FIORENTINO MD.LXIIII». Di particolare interesse iconografico è, a mio parere, la figura femminile di spalle, disposta in primo piano a sinistra, con in mano un rotolo pergamenaceo, certo da identificare con una sibilla. Simile inserto, dal significato quasi esoterico (le sibille, soggetti pagani, erano connesse per tradizione alla profezia della venuta di Cristo), è piuttosto inconsueto nelle rappresentazioni del tema e fu con ogni probabilità riportato in auge dall’uso che ne fece Michelangelo, in associazione ai profeti, sulla volta della Cappella Sistina: tra i più illustri precedenti di questo impiego in una scena analoga si può annoverare l’Adorazione del Bambino di Pellegrino Tibaldi (1549), oggi alla Galleria Borghese di Roma (inv. 415), opera – non a caso – di strettissima osservanza michelangiolesca.

Rispetto al dispiegamento di avvitamenti e serpentine architettato senza remore da Bronzino, Vasari cercò di attenersi nel suo quadro a un linguaggio formale in apparenza più ‘sobrio’, in grado, come è stato osservato, di tradurre «l’horror vacui […] e l’esacerbata sospensione emotiva [del primo] in un asettico scrutinio di buoni sentimenti». Entrambe le tavole, inglobate entro sontuose cornici lignee lavorate da Nigi della Neghittosa, andarono in ogni caso a rompere l’essenzialità decorativa che caratterizzava fino a quel momento la chiesa dei Cavalieri per esplicita volontà di Cosimo, convinto che l’austerità di quel luogo sacro meglio si confacesse al rigore morale della Religione stefaniana.

La Natività non fu l’unico lavoro pisano di Bronzino. Nel 1555 egli aveva già licenziato una pala con Cristo portacroce circondato da santi per l’altare della Vergine delle Grazie in Duomo, di cui rimangono oggi solo due frammenti custoditi a Roma, presso l’Accademia Nazionale di San Luca (San Bartolomeo, inv. 423, e Sant’Andrea, inv. 424). L’attività locale dell’artista era stata poi particolarmente favorita dalla duchessa Eleonora, che dopo avergli affidato alcuni incarichi fiorentini nel 1550 lo chiamò a Pisa come ritrattista di famiglia. I tratti somatici della donna (se ne veda, ad esempio, la celeberrima effigie conservata alla National Gallery di Praga, inv. O 11971), morta di malaria nel 1562, a soli quarant’anni, insieme ai figli Giovanni e Garzia, sembrerebbero quasi riecheggiati nel volto dell’angelo con lo sguardo rivolto all’esterno e un giglio in mano (simbolo di purezza ma al contempo metafora araldica di Firenze e del casato regnante), disposto sul margine destro della tavola per Santo Stefano. Al di là della possibile identificazione dei soggetti (anche il volto femminile con turbante e un’anfora in testa, subito al di sopra dell’angelo e sempre con sguardo allo spettatore, potrebbe essere non solo di repertorio), non era del resto inconsueto, per Bronzino, l’inserimento ‘attualizzante’ di ritratti all’interno di composizioni sacre, come già avvenuto, ad esempio, nella cappella commissionatagli dalla stessa Eleonora a Palazzo Vecchio (1540-1545) o nella Discesa di Cristo al Limbo per Santa Croce (1552).

Per quel che concerne la storia conservativa del quadro, l’archivio della Soprintendenza di Pisa conserva alcuni incartamenti relativi ai moderni interventi di restauro, uno risalente al 1945 e l’altro, più recente, del 1996.

Copyright:
Foto di Giandonato Tartarelli. Scuola Normale Superiore. Su gentile concessione del Demanio dello Stato
S. Stefano – interno – Bronzino – TARTARELLI – DSC_3048 ritoccata
Agnolo di Cosimo Tori detto il Bronzino, Natività, 1564. Pisa, Santo Stefano dei Cavalieri
Copyright:
Foto di Giandonato Tartarelli. Scuola Normale Superiore. Su gentile concessione del Demanio dello Stato
S. Stefano – interno – Bronzino, sibilla – TARTARELLI – DSC_3048_particolare
Agnolo di Cosimo Tori detto il Bronzino, Natività, particolare, 1564. Pisa, Santo Stefano dei Cavalieri

Media gallery

Copyright:
Foto di Giandonato Tartarelli. Scuola Normale Superiore. Su gentile concessione del Demanio dello Stato
S. Stefano – interno – Bronzino – TARTARELLI – DSC_3048 ritoccata
Copyright:
Foto di Giandonato Tartarelli. Scuola Normale Superiore. Su gentile concessione del Demanio dello Stato
S. Stefano – interno – Bronzino, sibilla – TARTARELLI – DSC_3048_particolare
Newsletter

Newsletter

Resta connesso con noi

Iscriviti alla newsletter di Piazza dei Cavalieri
e resta aggiornato sui progressi e sulle novità del progetto.