Una celebre lettera di riepilogo inviata da Giorgio Vasari al Consiglio dell’Ordine di Santo Stefano il 30 settembre 1569 documenta i molteplici lavori pianificati e coordinati dall’artista aretino per la decorazione, interna ed esterna, della chiesa dei Cavalieri. Tra i vari progetti predisposti si trovano così elencati «Dua disegni delle pile dell’aqua santa, che si feciono fare di marmo a maestro Giovanni di Stocho», a cui si aggiunsero anche «Il disegnio e modani delle lanpane et di dua pilette di mischio per l’aqua santa, allogate a maestro Giovanni Fancelli». Se questi ultimi due schizzi ideativi non sono oggi noti, così come non sembrano essere giunti a noi i connessi elementi di arredo, la concezione delle due acquasantiere maggiori, tuttora custodite all’interno della chiesa, è invece ricostruibile proprio grazie a uno dei fogli vasariani (ritenuti da Florian Härb non direttamente autografi del maestro) conservati tra le carte relative al cantiere stefaniano presso l’Archivio di Stato di Pisa.
Nell’autunno del 1566 Vasari propose all’Ordine due distinti modelli: il primo, che fu poi quello scelto per la messa in opera (si legge infatti in basso a sinistra sul foglio: «Al Cons[igli]o piace che si faccia le pile secondo questo disegno, e così s’è detto a m[aestr]o Gio[van]ni di Stoccho») presentava una base di pianta triangolare composta da capricorni alati che inquadravano lo stemma mediceo, mentre nella parte superiore un fusto rastremato, con andamento simile a quello di un’anfora, era fiancheggiato da putti regginastro e sosteneva infine un’ampia vasca con motivo a ovuli, recante al centro una piccola figura scultorea di san Giovanni Battista. Il secondo concetto, più articolato e carico di decori, prevedeva invece un’analoga base con arpie ai lati dello scudo mediceo e un simile fusto con putti, a cui si aggiungevano anche due delfini, racemi e festoni di verzure, mentre la vasca soprastante era a sua volta fiancheggiata da arabe fenici ad ali spiegate e coronata, come l’altra, da una statuetta del Battista. L’incarico di eseguire i lavori di scultura fu assegnato, appunto, a Giovanni di Paolo Fancelli detto Nanni di Stocco, assiduamente attivo al servizio dei Medici e uomo di fiducia del maestro aretino, per il quale aveva già realizzato a Pisa i due stemmi d’angolo per la facciata del Palazzo della Carovana, continuando a collaborare con quest’ultimo anche negli anni a venire, occupandosi in Santo Stefano, oltre che delle acquasantiere, di alcuni decori per la cappella maggiore, dei poggioli siti al di sotto degli organi e della cella campanaria, sempre in linea con idee e disegni forniti da Vasari.
Le monumentali acquasantiere di Santo Stefano, ultimate entro il febbraio 1568, furono realizzate dal Fancelli in marmo bianco lunense, con la vasca superiore in mischio di Serravezza, seguendo tuttavia una versione più essenziale e semplificata rispetto al disegno vasariano approvato dal Consiglio, in particolare per quanto riguarda il corpo centrale. Se infatti la base ripropone sostanzialmente quella schizzata da Vasari, con i capricorni zodiacali – simboli di potere assai ricorrenti nel repertorio iconografico connesso alla committenza di Cosimo I de’ Medici, che pur essendo nato sotto il segno dei gemelli era stato nominato duca di Firenze il 6 gennaio 1537, ancorando dunque a questa data una sorta di secondo natale, nonché l’origine della sua personale affermazione – e la sola aggiunta della croce stefaniana al di sopra dello stemma mediceo, il fusto recupera nella parte bassa i motivi a racemi della proposta progettuale scartata e reinterpreta i putti a figura intera come teste di cherubini intervallate da semplici festoni. Le statue – verosimilmente un Cristo e un Battista – previste a coronamento delle opere furono invece quasi certamente create, essendone rimasti gli ancoraggi all’interno delle vasche, ma sono oggi disperse.
La posizione di spicco all’interno di un edificio di primaria importanza, simbolica e politica, per la città di Pisa, e forse anche un certo fascino suscitato dall’illustre ideatore, determinò la ripresa dell’aspetto delle acquasantiere vasariane in opere analoghe eseguite per altre chiese del circondario. Tra queste è possibile ricordare l’esemplare di San Michele Arcangelo a Orciano Pisano (1644), che replica senza aggiunta di decori figurati la medesima impostazione del prototipo di Santo Stefano; quello tardo-cinquecentesco di San Nicola a Pisa, con base quadrangolare ma simile sviluppo in altezza e recupero sia delle teste di cherubini, trasformati in serafini nel fusto, sia della vasca in marmo diverso e più scuro; l’acquasantiera voluta da Giulio Battaglia nella chiesa dei Santi Maria e Giovanni a Vicopisano; infine quella polimaterica della chiesa del Carmine a Pisa; quella di San Michele in Borgo (1646) e, in versione più essenziale con aggiunta, però, delle statue di Cristo e di Giovanni Battista in cima al bacile, quelle realizzate in marmo di Campiglia da Bastiano Bitozzi per la Primaziale (1616-1617 circa).
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