L’odierno Palazzo dell’Orologio ingloba al suo interno due edifici medievali. Ciascuno dei due corpi laterali separati dall’odierna Via Dalmazia e congiunti dal cosiddetto voltone, infatti, si imposta su preesistenze che furono parte del sistema di strutture pubbliche del Comune medievale, sulla Piazza delle Sette Vie.
Nel lato destro, a nord-est, tali preesistenze prendono la forma di una turris (torre): una struttura a pianta quadrangolare con limitate aperture, la cui elevazione massima giunge fino al quarto piano attuale e la cui costruzione si data all’XI-XII secolo. Già chiamato ‘torre dei Gualandi’, fu la vicenda della prigionia al suo interno di Ugolino della Gherardesca, narrata nella Commedia di Dante, a rendere questo edificio famoso con il nome di Torre della Fame, obliterata dalle strutture primo-seicentesche, ma mai dimenticata dalla tradizione letteraria. Le sue tracce materiali riemersero solo intorno al 1920 durante i restauri del palazzo iniziati dal nuovo proprietario, il conte Alberto della Gherardesca. Saranno poi i massicci interventi operati della Scuola Normale Superiore tra il 1975 e il 1980 a completare lo scoprimento e a isolare all’interno dell’ala destra del palazzo il corpo turriforme, che oggi è possibile seguire fin dal piano interrato.
Il lato sinistro, a sud-ovest, è identificato, almeno a partire dal secondo quarto del XIV secolo, con il Palazzo del Capitano del Popolo, una delle più importanti magistrature comunali. Di età successiva rispetto alla contigua torre, dunque, riflette il passaggio dalla verticalità della struttura fortificata all’orizzontalità del palazzo pubblico, come dimostra la presenza di un’arcata di ingresso con cornice a gole e dentelli, forse originariamente parte di una loggia al piano terreno. La facciata in conci di pietra squadrati è l’unica traccia conservata di questa fase del palazzo, poiché nulla è sopravvissuto delle scansioni interne medievali. Il suo orientamento obliquo fu rispettato all’arrivo dell’Ordine di Santo Stefano, che invece dovette cambiarne alquanto drasticamente l’assetto delle aperture: nel 1919 le tracce obliterate di due quadrifore furono identificate da Pèleo Bacci al piano nobile del palazzo e furono prese a modello per la ricostituzione in stile di una di esse.
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