La decorazione si sviluppava in origine su quattro piani, alternando paesaggi e figure allegoriche entro un’impaginazione a fasce decorative raffiguranti trofei guerreschi, panoplie, stemmi e mascheroni, ancora visibile nel sottotetto del palazzo nei lati nord ed est.
Partendo dal fronte principale, in alto a sinistra è possibile riconoscere la Pietà, raffigurata con un vestito rosso e bianco, le ali e le fiamme che emergono dal capo; quello che sembra un manto giallo le copre le gambe, mentre nell’angolo sinistro c’è un grappolo di frutti, in sostituzione della ben più nota cornucopia. Nel riquadro tra le prime due finestre era raffigurato un paesaggio, di cui ora si intravede solo un grande masso sulla destra. Segue, tra la seconda finestra da sinistra e l’orologio, la Fede Cattolica con un elmo piumato, la veste candida e alla sua sinistra le tavole della legge, come prevede l’Iconologia di Cesare Ripa (1593-1625); il letterato perugino gli attribuiva anche una candela accesa e un cuore, forse perduti, mentre è ancora visibile l’angelo che le si approccia, seppure tranciato dall’inserimento tardoseicentesco dell’orologio. A destra di quest’ultimo si intravede un paesaggio roccioso sormontato da una piccola costruzione fortificata; sulla vetta accanto è un enorme arbusto spoglio, mentre tre piccole figure percorrono in basso un ponte di legno che conduce a una grotta. Il pendio infatti digrada verso un paesaggio marittimo o fluviale, in cui si ravvisano varie costruzioni, ponti e barche. L’immagine è decodificabile anche grazie a una foto relativamente recente (forse dei primi anni Duemila) che si conserva nell’Archivio Restauri della Soprintendenza di Pisa. Dopo la terza finestra è raffigurata la Verità, in origine identificata dalla scritta vergata nel cartiglio sottostante, ancora leggibile ai tempi di Bellini Pietri (1907). La virtù, a seno nudo, indossa una veste bianca e un ampio mantello rosso; ha un piede sul globo e tra le mani regge un libro, un ramo di palma e uno specchio. La figura presenta una palese affinità con la Prudenza, dipinta da Lorenzo Sabatini in un ricetto tra il Salone dei Duecento e quello dei Cinquecento in Palazzo Vecchio (1565): seppure con ben minore maestria nel caso pisano, affine nelle due figure è la gamba destra sollevata e l’angolo formato dal braccio che afferra dall’alto il libro (in un caso) e lo specchio (nell’altro). A destra dell’ultima finestra è visibile un altro scorcio paesistico, di cui si riconosce solo un alto albero senza foglie, anche se in un’altra foto della Soprintendenza, dello stesso lotto della precedente, si ravvisa – in aggiunta – una cinta muraria.
Girato l’angolo destro del palazzo, sempre sulla fascia superiore è visibile un’altra allegoria elegantemente vestita di bianco e rosso, adorna di gioielli e con uno scettro in mano, attributo che suggerisce si tratti della Giustizia, oppure della Fortezza o del Buon Governo. È interessante notare che l’ultimo restauro ha svelato al di sotto di questa figura la presenza di un personaggio maschile assiso – staccato e oggi conservato al quarto piano del Palazzo della Carovana – che potrebbe identificarsi con Cosimo I de’ Medici. La figura emerge da un tendaggio verde, indossa una tunica gialla e un manto rosso e probabilmente teneva con una mano (perduta) la corona d’alloro in primo piano. Le ragioni del cambio di programma non sono note, ma sono state ricondotte alla posizione eccentrica del ritratto rispetto al programma iconografico e – forse – all’intimismo che lo caratterizza, in diretta contrapposizione con il trionfalismo della statua e del busto già all’epoca presenti in piazza e sulla facciata della Carovana.
Gli altri riquadri di questo prospetto – così come quelli lungo il secondo ordine del fronte – non sono in alcun modo interpretabili, ma si segnala che la fascia decorativa del sottotetto sul lato est è particolarmente ben conservata.
Per la maggior parte delle allegorie citate, identificate da Lucia Tongiorgi Tomasi, la studiosa ha proposto un’attribuzione a Giovanni Stefano Maruscelli, cui pertiene un foglio del Cabinet des dessins del Louvre (RF 38404, Recto) con mascheroni e ghirlande, messo in relazione con gli affreschi in oggetto. La proposta, avanzata da Catherine Monbeig Goguel, non trova perfetto riscontro in ciò che si conserva della partitura decorativa che circondava i paesaggi e le allegorie, ma si riconosce una certa familiarità tra il mascherone delineato nel foglio e quello che si trova nella fascia che sormonta la figura della Verità.
Nessuna delle figure citate nel resoconto dei lavori del muratore Paolo Antonio da Lucca, eseguite in parte da Filippo Paladini e in parte da Maruscelli, sembra invece essere sopravvissuta.
L’iconografia del voltone, dipinto dal solo Maruscelli, è organizzata secondo una griglia geometrica, ma risulta – come già riconosciuto dalla critica – molto più ariosa di quella delle facciate: le figure allungate sono delineate con immediatezza e spiccati effetti di cangiantismo.
A marcare la volta nei suoi quattro angoli sono gli stemmi mediceo-stefaniani. Le fasce dei lati lunghi proseguono alternando ghirlande ed emblemi guerreschi, mentre al centro, entro un’impaginazione di stampo architettonico, sono raffigurati dei paesaggi, purtroppo di difficile interpretazione. Quello rivolto verso il corpo destro del palazzo presenta un albero secolare e sul retro una collina dominata da una costruzione, mentre in primo piano è ritratto un viandante. Il paesaggio sul lato opposto, molto rovinato, raffigura una serie di costruzioni e un personaggio in primo piano, che potrebbe rappresentare un contadino che si reca nei campi.
Passando invece alle figure allegoriche lungo i lati corti, quelle verso Via Dalmazia sono quasi del tutto perdute, mentre lungo il fianco che affaccia su Piazza dei Cavalieri è riconoscibile solo una figura di Flora con un abito variopinto, col capo coronato da una ghirlanda e alcuni arbusti ai piedi, mentre nelle mani regge una corona e un cesto di fiori.
Il campo centrale è un profluvio di grottesche, una decorazione parietale di origine romana riscoperta alla fine del Quattrocento, che alterna forme vegetali di invenzione, figure semi animali e semi umane e mascheroni. Inoltre, quattro tabernacoli ospitano altrettante figure allegoriche. Sul lato rivolto al corpo sinistro del palazzo sono state riconosciute la Prudenza, quasi illeggibile, e la Fortezza, con il capo turrito e una torre come attributo (secondo un’iconografia discostante da quella di Ripa), mentre su quello opposto si ravvisano la Giustizia, con in mano un fascio infuocato, e la Temperanza d’azzurro vestita. Lo stato conservativo però è tale da dover rinunciare a un’identificazione univoca.
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