A metà della rampa dello scalone monumentale ottocentesco che collega il secondo al terzo piano del Palazzo della Carovana e conduce alla Sala degli Stemmi, si trova il maestoso ritratto di Leopoldo II di Toscana eseguito dal pittore fiorentino Giuseppe Bezzuoli (1784-1855) all’inizio degli anni quaranta dell’Ottocento. L’artista si era formato nel milieu accademico internazionale dell’Accademia di Firenze, frequentata nella prima metà dell’Ottocento da nomi quali Jean Baptiste-Desmarais e Bénigne Gagneraux. Qui aveva perfezionato una pittura dalla peculiare intonazione sentimentale e cromaticamente suadente, allineata alle nuove istanze che stavano progressivamente decostruendo la grammatica composta e rigorosa della cultura neoclassica, e aveva legato principalmente la propria fama alla produzione ritrattistica, nutrita della benefica influenza del disegno solido ed elegante di Jean-Auguste-Dominique Ingres (residente a Firenze dal 1820 al 1824), associato a un impasto cromatico sensuoso di impronta veneta e neo-seicentesca.
La collocazione del dipinto nell’attuale sede fu l’ultimo atto dell’operazione di restauro e riallestimento storico-celebrativo di quest’area del palazzo – che comportò anche l’inserimento di un imponente lucernario decorato con le insegne dell’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano –, nell’ambito del più ampio e capillare progetto di rinnovamento gentiliano dell’intero edificio tra il 1928 e il 1933. In un evidente gioco di specchiature e rafforzamenti della semiotica stefaniana, nel novembre del 1932 «il quadro del fondatore della Scuola Normale toscana» (così come viene ricordato nella missiva di ritiro dal Museo Civico di Pisa), trovò sede definitiva nello scalone, come segno di riconoscimento per il Lorena, sotto il quale l’istituzione (per la verità di fondazione già napoleonica) aveva ottenuto come sede la Carovana ed era stata oggetto di un’importante ridefinizione. Nell’edificio vasariano, sempre stando alla stessa lettera, era peraltro già conservato in precedenza «in soffitta», prima del suo provvisorio alloggio nel locale museo cittadino dal marzo 1927, senza che fosse «possibile in quel momento sistemarlo convenientemente nel palazzo della Scuola».
Per quanto caratterizzato da una vicenda autonoma, è importante sottolineare come questo ritratto di Bezzuoli dialoghi di fatto con una serie storica piuttosto importante a Pisa, costruita nel tempo probabilmente con intenti programmatici e composta dalle effigi monumentali (201 x 115 cm per i dipinti più antichi, 250 x 165 cm per i ritratti lorenesi) dei granduchi di Toscana in veste di gran maestri, databili dal tardo XVII al XIX secolo. Le prime notizie sulla sua collocazione risalgono a una menzione nel 1837 di Bartolomeo Polloni, il quale riconosceva nel Palazzo dei Dodici «una rispettabile raccolta di ritratti dei gran maestri di quest’Ordine fino ai dì nostri quasi non interrotta, che l’ultimo sortì dai pennelli del vivente artista signor Bezzuoli»: con riferimento non al dipinto qui in oggetto, ma a una prova precedente dello stesso artista, con l’immagine del giovane regnante Leopoldo II nel 1825, un anno dopo l’ascesa al trono. I ritratti lasciarono il palazzo su Piazza dei Cavalieri nel 1859, a seguito della soppressione dell’Ordine, e vennero contestualmente acquisiti dallo Stato italiano. La maggior parte di essi è segnalata nei cataloghi primonovecenteschi delle collezioni del Museo Civico di Pisa (motivo per cui questa fu la sede decisa per la momentanea movimentazione dell’opera oggi in Carovana alla fine degli anni Venti), e attualmente si trova nel Museo Nazionale di Palazzo Reale.
Qui si conserva anche l’effigie leopoldiana del 1825, nella quale, avvalendosi di un’impostazione ancora legata alle modalità rappresentative batoniane, Bezzuoli aveva collocato il granduca in una monumentale cornice architettonica scorciata dal basso conferendogli la classica gestualità simbolica che allude all’unione tra potere temporale e spirituale. Di tenore meno retorico e ufficiale, il ritratto senile oggi in Carovana rivela un carattere più introverso e meditativo, nonostante gli sfarzosi attributi imperiali e l’ambientazione sontuosa del pesante drappo di velluto verde, da cui si lascia intravedere un fazzoletto di cielo con nubi arrossate dalle luci del tramonto. Leopoldo è raffigurato stante, a mezza figura, con la mano destra appoggiata al fianco e quella sinistra aperta verso l’esterno in un gesto allusivo. La lucente veste serica reca sul petto, nel centro simbolico della tela, la croce dell’Ordine stefaniano.
La datazione del ritratto ai primi anni quaranta trova conferme sia dal confronto iconografico con il busto del granduca realizzato da Aristodemo Costoli nel 1843 (Firenze, Museo della Specola di Palazzo Torrigiani), che esibisce le stesse fattezze fisiognomiche, sia dalla mancanza di un attributo onnipresente nella ritrattistica più tarda, ovvero il libro aperto dello Statuto fondamentale, una sorta di moderna costituzione firmata dal granduca nel 1848, data che stabilisce pertanto un ante quem per il ritratto di Bezzuoli. Tale dettaglio è presente, ad esempio, nel ritratto di Leopoldo II di Annibale Marianini esposto a Palazzo Reale, modellato sulla base di chiari riferimenti alla ritrattistica imperiale di Anton Raphael Mengs ma dall’inconfondibile foggia delle basette.
A supporto dell’autorialità, invece, interviene una copia pressoché esatta del nostro dipinto conservata presso la Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti, eseguita da Carlo Morelli, professore dell’Accademia di Firenze. Di complessiva minore qualità, è arricchita di una porzione di tela in basso raffigurante la parte finale della veste e i piedi del granduca, poggianti su un ampio e sfarzoso tappeto. Il completamento del ritratto originale si deve probabilmente alla necessità di adeguare le dimensioni (molto maggiori) della tela a una serie, mentre la fedele aderenza al ritratto del Bezzuoli testimonia in maniera eloquente la lusinghiera e diffusa considerazione di cui godeva l’artista, a buon diritto ritenuto ancora oggi uno dei maggiori rappresentanti del proto-romanticismo fiorentino.
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