Attualmente allestita in Sala Azzurra, tra i faldoni dell’Archivio Salviati, Senza titolo (24 x 33 x 16 cm; Biblioteca del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato, CID/Arti Visive, Fondo Libri d’Artista, inv. n. 19105; ingresso nel museo nel 1994) è un’opera realizzata nel 1993 dell’artista di origine sovietica Svetlana Kopystiansky (nata nel 1950), inserendo dentro una cassetta di legno grezzo sei libri squadernati e compressi l’uno accanto all’altro. L’artista ha voluto così presentare la cellula di una biblioteca, dove però le copertine e i dorsi dei libri, usuali chiavi di accesso per il lettore, sono invisibili. Il lettore/spettatore può cogliere soltanto frammenti di testo e decifrare pochi termini in lingua tedesca, senza comprendere il significato delle parole stampate, e dunque senza approcciare l’opera in un senso concettuale. Il contenuto del libro è annullato e l’attenzione deve limitarsi alle caratteristiche materiali dell’assemblaggio.
Lingua e letteratura sono state al centro della produzione artistica di Kopystianksy fin dagli ultimi anni Settanta, quando l’artista, non ancora trentenne, iniziò la sua attività nell’ex Unione Sovietica, tra Leopoli e Mosca. Dopo una prima fase incentrata sulla denuncia della posizione privilegiata della letteratura nella cultura russa, a partire dal 1990 Kopystianky riflette sull’identità culturale del testo e, soprattutto, sul suo contenitore per eccellenza, il libro. Per condurre tale indagine, ha realizzato numerose installazioni dove il libro è trattato come un oggetto. Una simile ricerca trova le sue radici nelle avanguardie sovietiche. Kopystiansky, in particolare, abbraccia la poetica dell’assurdo e, con un ribaltamento ironico, fa propri i principi e le pratiche del costruttivismo. Solo dichiarando il libro un ‘oggetto’ e privandolo della sua funzione, può interrogarsi su che cosa sia davvero un testo.
Nel caso di questo Senza titolo del 1993 è assai forte l’affinità con l’installazione che l’artista realizzò nel 1991 presso l’Universitätsbibliothek della Humboldt-Universität di Berlino. La biblioteca della più illustre istituzione universitaria berlinese era in quell’anno in riallestimento dopo la caduta del Muro e a seguito del rinnovamento politico della città e della nazione tedesca. L’artista concepì un’installazione costituita da libri compattati l’uno accanto all’altro e squadernati, richiamando così l’attenzione sul riassestamento culturale della città e, insieme, sul sistema di riorganizzazione della cultura e sul significato stesso dell’istituzione bibliotecaria in quella decisiva fase di trasformazione. In merito a quella installazione, Kopystiansky ha affermato di aver voluto «senza distruggere l’atmosfera generale dello spazio, riempire alcuni degli scaffali vuoti con libri che, da un lato sono fisicamente presenti, ma di cui allo stesso tempo si percepisce l’assenza». Anche nell’opera del Centro Pecci, di dimensioni minori, i libri sono fisicamente presenti, ma la loro manipolazione li rende assenti, perché di fatto non consultabili.
Per Kopystiansky il libro-oggetto ha sempre avuto un significato cangiante: rifacendosi alle parole di Jorge Luis Borges in Altre inquisizioni, l’artista ha affermato di considerare il libro un «asse di innumerevoli relazioni». Nel suo lavoro coesistono, e si sovrappongono, riflessioni sulla censura, sulla sistematizzazione della cultura e sulla sua rilevanza per lo sviluppo umano.
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