Paolini, Prologo

Carovana – Interno – Pecci – Poirier – Domingie

Giulio Paolini

Prologo

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Foto di Serge Domingie. ©️ Centro Pecci, Prato
Carovana – Interno – Pecci – Paolini – Domingie
Giulio Paolini, Prologo, 1993. Pisa, Palazzo della Carovana, secondo piano

Allestita dal 2016 nell’ambiente del secondo piano del Palazzo della Carovana che dà accesso allo scalone monumentale che conduce al terzo piano, Prologo (edizione speciale di 150 esemplari del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato) di Giulio Paolini (Genova, 1940) è una litografia stampata a cinque colori di 500 x 700 mm, incollata sopra un foglio bianco.

Considerando l’espressione artistica alla stregua di un linguaggio, fin dalle prime sperimentazioni degli anni Sessanta Paolini ne ha messo criticamente in discussione i fondamenti e le condizioni di fruizione. In questo modo ha inteso superare il modello invalso dell’artista come creatore di opere originali e irripetibili, spostando spesso il suo raggio d’azione nel campo dell’intervento su materiali preesistenti. Da questo punto di vista Prologo è un’opera paradigmatica.

Presenta l’immagine fotografica di uno scalone monumentale con al centro una nicchia, dove in origine era verosimilmente collocato un dipinto o un bassorilievo, rimosso fustellando il foglio stampato. Il riquadro vuoto così creato è stato riempito dall’artista con un fondo grigio neutro su cui sembra cadere, senza però entrarvi completamente, un foglio bianco incastrato nel bordo, che ricorda un biglietto da visita. L’interferenza tra l’illusione e la realtà, tra l’oggetto e la sua rappresentazione è rafforzata dall’ombra prodotta dal ‘biglietto’ bianco all’interno della nicchia, il cui volume è fisicamente reso creando uno spessore nel riquadro. Il valore dell’immagi­ne quale centro compositivo è ribadito da due diagonali rosse che rimandano alla prima opera del catalogo di Paolini, Disegno geometrico (1960), vero e proprio fondamento della sua poetica. In Prologo l’artista ha anche applicato quattro ritagli di carta rettangolari, scorciati lungo i bordi, che fanno eco all’inserto bianco nello scalone. Al loro interno appaiono, tracciati a matita, profili di rettangoli di formato identi­co a quello applicato nello spazio dell’imma­gine litografata e di cui rappresentano una sorta di moltiplicazione.

Con opere come Prologo Paolini si inserisce autorevolmente nella riflessione critica e teorica su un dispositi­vo dal carattere anfibio come la cornice, a cavallo tra spazio della realtà e spazio della rappresentazione e, dunque, centro cataliz­zatore dello sguardo. Così come, secondo Paolini, l’artista diventa un ospite passivo di fronte al farsi autonomo dell’opera d’arte, anche la cornice perde la sua funzione contenitiva dell’opera: i fogli bianchi che circondano lo scalone sfuggono ai limiti imposti dal foglio stampato, mentre il ‘biglietto’ centrale, pur avendone le dimen­sioni esatte, finisce per non coincidere col riquadro della nicchia. Ogni esposizione è una cornice «di tempo e di luogo, che delimita l’area che ci troviamo a osservare (il senso della vista) ma attuando invece la messa in scena dell’o­pera (il non senso della rappresentazione)», ha dichiarato l’artista nel catalogo della mostra collettiva Inside Out. Museo Città Eventi (marzo-maggio 1993), per la quale il Centro Pecci aveva commissionato l’edizione di Prologo, ora esposta in Carovana.

Teatro del farsi dell’opera, lo scalone monumentale di questa litografia, con la sua nicchia vuota, rappresenta l’antefatto, come dice il titolo, del manifestarsi di un’immagine (e i fogli bianchi altro non sono che pura po­tenzialità) su quello schermo opaco che è il riquadro centrale. All’osservatore non resta che attendervi una, alquanto im­probabile, apparizione.

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