Panamarenko, Panama

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Panamarenko

Panama

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Foto di Serge Domingie. ©️ Centro Pecci, Prato
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Panamarenko, Panama, 1996. Pisa, Palazzo della Carovana, primo piano

Allestita dal 2021 al primo piano del Palazzo della Carovana, sulla parete antistante lo scalone monumentale a una rampa che porta al secondo piano, Panama (Collezione Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato, inv. n. 122; ingresso nel museo nel 1996; in comproprietà con il Comune di Prato) è una emulsione stampata con tecnica elettrostatica (680 x 780 mm), edita in 25 esemplari, raffigurante un sottomarino in immersione con la parola ПАНАМА che campeggia su una parete dello scafo. È stata realizzata nel 1996 dall’artista belga Henri Van Herwegen (1940-2019), emerso sullo scenario artistico europeo nel 1963 con lo pseudonimo di Panamarenko, risultato della fusione tra il nome di una compagnia di volo americana, la Pan American World Airways, e il suffisso russofono -enko.

Temi centrali della sua ricerca sono l’aeronautica, l’ingegneria e, più in generale e secondo valenze differenti, il viaggio che, per quanto venga sempre concepito come avventura e scoperta, manifesta oscillazioni tra il fantastico e il paradossale. Fantastici sono i mezzi di trasporto concepiti dall’artista: macchine d’invenzione analoghe a velivoli a pedali o a monumentali aerostati, nate dalla contaminazione dei più svariati riferimenti in un arco esteso dall’ornitologia all’immaginario dell’utopia e della fantascienza. Paradossale è la condizione di queste macchine, destinate a non decollare e concepite per non funzionare se non come dispositivi progettuali in potenza. Non meno rilevante è la firma che l’artista utilizzò sin dagli esordi, ovvero “Panama”. Il logo-brand appare una evidente contrazione dello pseudonimo dell’artista che, per l’accostamento di riferimenti americani e russi, bene si spiega nel clima di tensioni della guerra fredda, segnata dalla conquista dello spazio e dalla guerra di propaganda tra l’Occidente e l’Unione Sovietica.

Nella stampa del 1996 il sottomarino allude a un’opera ambientale realizzata dell’artista nello stesso anno, ovvero Panama, Spitsbergen, Nova Zemblaya: una struttura in acciaio di sei metri di altezza per sette di lunghezza il cui interno ospita un abitacolo composto di sedute e ingranaggi, un generatore diesel e un piccolo tubo catodico, mentre nell’esterno sono collocati un periscopio e una serie di antenne da ricezione. In Panama, Spitsbergen, Nova Zemblaya riemerge il rilievo conferito da Panamarenko al tema del viaggio. Se il sottomarino è stato costruito, nelle parole dell’artista, per compiere un viaggio di 20.000 miglia sotto i mari (sino al Polo Nord), il titolo, nei suoi spericolati riferimenti geografici, testimonia, in primo luogo, un implicito omaggio al Nautilus, mostro e sottomarino a un tempo, protagonista di molti romanzi di avventura di Jules Verne. In secondo luogo evoca la spedizione di Willem Barentsz e Jacob van Heemskerck, navigatori e cartografi olandesi che, al volgere del XVI secolo, tentarono di tracciare un passaggio attraverso i mari del Nord per l’Oriente. La spedizione, giunta sino all’arcipelago russo di Novaya Zemlya, rimase incagliata nei ghiacciai dell’Artico portando alla scoperta di una nuova terra al nord della Norvegia che prenderà il nome di Spitsbergen. Nel gioco di rimandi non mancano però allusioni ad aree di tensione tra Oriente e Occidente: durante la guerra fredda, il mare di Barents era zona di confine monitorata da sommergibili nucleari e Novaya Zemlya era tra i più celebri siti dei test, nucleari e missilistici, dell’ex-Unione Sovietica.

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