Neri, Landscape

Carovana – Interno – Pecci – Poirier – Domingie

Marco Neri

Landscape

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Foto di Serge Domingie. ©️ Centro Pecci, Prato
Carovana – Interno – Pecci – Neri – Domingie
Marco Neri, Landscape, 2006. Pisa, Palazzo della Carovana, secondo piano, corridoio

Allestita dal 2021 sulla parete destra del corridoio al secondo piano di accesso allo scalone a due rampe del Palazzo della Carovana, a fianco della Sala del Gran Priore, l’opera Landscape (Collezione Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato, inv. n. 614; ingresso nel museo nel 2006) è stata realizzata nel 2006 dal pittore Marco Neri (Forlì, 1968) ed è un esempio eloquente di una scelta in controtendenza – il recupero della pratica pittorica – in decenni (gli anni Novanta e i primi Duemila) dominati nel mondo dell’arte dalla fotografia, dalle installazioni e dai linguaggi della tecnologia mediale.

In questo trittico (160 x 600 cm, tempera su tela di lino), la vasta panoramica di luci nella notte che appare a prima vista è, in realtà, un insieme di astratte «espansioni e moltiplicazioni di punti e linee bianchi», come ha affermato nel 2006 Stefano Pezzato. Non siamo però di fronte a una pittura che ha il proposito di ingannare l’occhio: secondo Neri, a chi dipinge non resta che usare un segno «minimale e disarmante» per mostrare come esso somigli a qualcosa di riconoscibile nell’esperienza quotidiana. Accettare la fine dell’illusione pittorica, d’altra parte, non significa affermare che la realtà può essere percepita e registrata solo per via meccanica (il caso della fotografia): «Il soggetto è un pretesto. Il soggetto della pittura è il fare e l’obiettivo della pittura è fare vedere, per cui non è solo vedere, inquadrare un soggetto, ma farlo e renderlo visibile agli altri. Dipingere è realmente immaginare, non è registrare una cosa che esiste», ha affermato il pittore nel 2013.

Neri colloca sé stesso sulla strada aperta da Alighiero Boetti che, attraverso le sue Mappe, aveva promosso un ritorno alla manualità, al colore e a quello che Neri, in un’intervista a Bologna nel 2021, chiama lo «schermo assoluto», ossia il quadro, frutto del «reale immaginare» del pittore. L’idea dello schermo è presente nell’opera di Neri fin dal 1999: le sue Finestre rappresentano il tramite dell’atto stesso di vedere e di essere visti. L’idea del quadro come ‘finestra sul mondo’ non è in contraddizione con la bidimensionalità della pittura, confermata dall’artista con la progressiva riduzione delle forme (le griglie di linee e punti) e del colore (il bianco e il nero): Landscape è l’apice di questo processo. Qui, come dichiara Pezzato, il pittore pone al centro del quadro la composizione astratta e bidimensionale di linee e punti, lasciando allo spettatore la possibilità di ricondurre quei segni ad oggetti reali per rivelargli «la profondità di emozioni, pulsioni e passioni che sottendono al suo rapporto con quella realtà».

L’opera è stata esposta la prima volta in occasione della mostra Omissis al Centro Pecci di Prato nel 2006, dove ha fatto da sfondo alla performance site specific del gruppo Motus, ispirata all’omonima opera di Neri dell’anno precedente.

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