Allestita dal 2016 nel ballatoio del terzo piano del Palazzo della Carovana, a sinistra della porta di accesso alla Sala degli Stemmi e sotto una teoria di blasoni dei Cavalieri di Santo Stefano, questa opera (Collezione Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato, inv. n. 1022; ingresso nel museo nel 2008) è stata realizzata nel 1985-1986 dall’artista torinese Marco Gastini (1938-2018) e si colloca nella fase unanimemente riconosciuta come più alta della sua ricerca: dopo aver ridotto, negli anni Settanta, il processo pittorico a pochi segni ripetuti, risultato di una rigorosa autoriflessione condotta sull’operazione artistica, negli anni Ottanta volle recuperare nel suo lavoro un’inedita componente materica e gestuale.
In «…e finire è cominciare» (232 x 340 x 20 cm) Gastini ha fissato su pannelli di supporto di legno grezzo, i cui margini sono lasciati a vista a simulare una sommaria cornice, decine di lamiere di ferro zincato le cui piegature creano aggetti assai rilevati rispetto al piano di fondo. Inserti materici (legni dalle forme irregolari; frutti disseccati dello ‘spino di Giuda’, pianta comunissima nei viali torinesi) coesistono con fitti interventi pittorici sulla lamiera e sui legni. La dominante nera, insistentemente grafica, di questi interventi pittorici è in più punti addolcita da stesure di un rosa allusivamente carnale e di un azzurro luminoso che si allargano in aloni indefiniti. Lo schema grafico di base, generato dalla disposizione dei tratti pittorici neri e accompagnato dagli inserti in legno, è riconducibile a un vortice che si addensa nel quadrante in basso a sinistra. L’idea di trasformazione e rinascita suggerita dal titolo sembra dunque transitare nell’opera attraverso questo movimento vorticoso la cui energia produce distruzione e, insieme, un nuovo inizio.
L’opera fu esposta per la prima volta in una mostra personale di Gastini tenuta nel marzo 1986 presso la galleria Krista Mikkola di Helsinki, nel cui catalogo l’artista motivava il formato monumentale delle sue opere più recenti con il «bisogno che entrasse in gioco, nel lavoro che venivo facendo, lo spazio in cui mi muovo, lo starci dentro, l’immersione in questo spazio, il vivere questo insieme di realtà che mi attorniano e che costituiscono il mondo del mio lavoro».
«… e finire è cominciare» si colloca in una serie di titoli (e, dunque, di soggetti) di Gastini accomunati da una forte coloritura letteraria ed esistenziale. Vi è letteralmente ripreso l’incipit del quinto movimento dell’ultimo dei Four Quartets di Thomas Stearns Eliot, Little Gidding: «Ciò che diciamo principio/spesso è la fine, e finire/è cominciare. La fine/è là onde partiamo». Il tema eracliteo e poi stoico dell’eterno ritorno, uno dei fondamenti della poetica di Eliot (un poeta assai amato dagli artisti italiani del tempo) era caro all’artista torinese che proprio sul binomio vita-energia, nel suo incessante rigenerarsi, ha posto negli anni Ottanta i fondamenti di una delle sue più proficue stagioni creative. «Mi piace pensare a una tensione di energie, a un transito e movimento di forze […]. L’energia dei materiali incontra l’energia presente nell’azione della pittura», avrebbe riferito Gastini in un’intervista rilasciata l’anno dopo la mostra di Helsinki, nel 1987, al critico tedesco Peter Weiermair.
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