Mambor, L’osservatore e le coltivazioni

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Renato Mambor

L’osservatore e le coltivazioni

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Foto di Serge Domingie. ©️ Centro Pecci, Prato
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Renato Mambro, L’osservatore e le coltivazioni, 1991. Pisa, Palazzo della Carovana, Scalone a due rampe

Dal 2021 la parete destra dello scalone monumentale che conduce al terzo piano del Palazzo della Carovana ospita L’osservatore e le coltivazioni dell’artista romano Renato Mambor (1936-2014), dal 1998 nelle collezioni del Centro Pecci di Prato (inv. n. 121; in comproprietà con il Comune di Prato). Realizzata nel 1991, l’installazione ricapitola le ricerche visive e performative condotte da Mambor in più di trent’anni di carriera: dai primi esperimenti di azzeramento linguistico del quadro (1959-1974), all’approdo al teatro nel 1975, fino al recupero di tela e pennello dal 1987.

L’opera è composta da undici elementi in tecnica mista su tela tamburata (ciascuno di 45 x 400 cm, per un totale di 495 x 400 cm) e da una sagoma in legno grande al vero in posizione distaccata (175 x 51,5 cm). Il titolo ne designa le due parti. L’osservatore, nomen agentis che, come in altre opere di Mambor, indica l’azione da compiere, si offre al pubblico insieme come attore e oggetto di contemplazione. La sagoma in legno, derivata da un disegno che ritraeva l’artista di spalle, non vuole essere un autoritratto ma la rappresentazione di una figura anonima; l’impersonalità è garantita dall’impiego di una vernice grigia, neutra e piattamente bidimensionale, che solo a una visione ravvicinata lascia intravedere in alcuni punti il supporto in legno.

L’osservatore guarda la seconda componente della installazione, le coltivazioni: un campionario paratattico e ordinatamente analitico di linguaggi della pittura, dispiegati su pannelli modulabili (in origine venti) con un criterio tassonomico da laboratorio. Tanto l’anonima stesura pittorica quanto il titolo sembrano un omaggio ai paradossi logico-linguistici di René Magritte: in particolare al doppio senso della Culture des idées (1927, tradotto in italiano la Coltivazione delle idee), presente alla retrospettiva dell’artista belga ospitata dalla Foundation de l’Hermitage a Losanna nel 1987 (n. 19) e con cui Mambor si era già misurato nell’Albero del 1988.

A determinare uno scarto in quest’opera del 1991 rispetto alle precedenti è il peso della riflessione teatrale, per lo spunto tematico (dallo spettacolo Gli osservatori messo in scena nel 1983 al Metateatro di Roma e nell’omonimo film di animazione) e per l’interazione tra le due parti dell’installazione. Le dichiarazioni di Mambor in merito sottolineano la volontà di «mettere in scena la pittura»: «Avevo delle vecchie tele, le ricoprii con un fondo monocromo ed iniziai a contemplarle. Feci un disegno di me ritratto di spalle che osservavo quelle superfici colorate. Analizzando il disegno mi accorsi di un’aria particolare tra la figura e la tela. C’era un’azione che non era il semplice guardare ma un’attività più intensa, più profonda. Era nato l’Osservatore». Dalla frequentazione di lunga data degli scritti di Maurice Merleau-Ponty, di cui aveva letto la Phénoménologie de la perception (1945, libro tradotto in italiano nel 1965), Mambor ha derivato, secondo una sua dichiarazione, la convinzione che l’osservazione presupponga un «atteggiamento solo constatativo», che permette di «osservare senza interpretare».

Parte di una serie avviata dal 1988, l’installazione fu presentata per la prima volta nel 1991 a un evento-dibattito presso Fondazione Mudima di Milano, e nel 1993, a un’importante mostra personale dell’artista al Palazzo delle Esposizioni incentrata sulla sua ultima produzione.

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